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L’eutanasia ai bambini. E’ giusto?

In Belgio da anni è stata depenalizzata l'eutanasia. Ora si discute per estenderne la possibilità anche ai minori

L’eutanasia ai bambini. E’ giusto?

C’è un’ombra dietro la notizia che il Parlamento belga voterà per estendere anche ai bambini la possibilità dell’eutanasia: in ottobre un sondaggio d’opinione (di cui i giornali italiani non hanno dato notizia) ha rilevato che tra i cittadini esiste un largo consenso ad estendere la legislazione sull’eutanasia. Ai minorenni, ma anche alle persone colpite da Alzheimer. Stando al campione degli intervistati, sarebbero favorevoli tre quarti dei cittadini.

Io spero che il governo guidato da Elio Di Rupo non sia affatto su questa posizione, e spero che il sondaggio – così a ridosso della ripresa parlamentare del dibattito sull’eutanasia – non  stia ad indicare un’intenzione politica di toccare il polso all’opinione pubblica. Per l’uomo, e forse anche per gli animali superiori, la vita coincide con la consapevolezza del sé. Ma questo significa forse che sia lecito spegnere la vita di chi questa consapevolezza non l’ha mai avuta, per esempio un ritardato mentale grave, oppure l’ha persa, come un malato di Alzheimer in fase avanzata?

Per quanto a noi individui sani e in pieno possesso delle nostre facoltà mentali alcune situazioni possano sembrare «vita senza consapevolezza» dobbiamo affermare con forza come impercorribile questa strada. Altrimenti ci troveremmo sulla stessa posizione che portò il nazismo a definire «vita indegna di vita» quella di soggetti gravemente ritardati e di soggetti con handicap, che infatti furono eliminati. Non si può affermare che solo una piena consapevolezza sia la condizione per la dignità della vita.

Un discorso serio sull’eutanasia non può ignorare che è proprio qui il punto in cui può innescarsi una rovinosa deriva, anche alla luce dell’ideologia neoliberista. In un mondo tutto spinto alla produzione e alla cosiddetta «ottimizzazione» delle risorse, chi può assicurarci che in un futuro, magari lontano e  per ora impensabile, l’eutanasia non potrebbe diventare un tragico mezzo per risparmiare spese mediche e sociali che si potrebbero valutare  come inutili?

Olanda, Belgio e Lussemburgo da anni hanno depenalizzato l’eutanasia perché hanno riconosciuto l’autodeterminazione dell’individuo (la vita è un diritto, non un dovere), e la sua richiesta di non soffrire quando ormai la morte è prossima e inevitabile. Il dibattito per l’approvazione delle rispettive leggi è stato sereno e aperto, sia pure con le inevitabili contrapposizioni ideologiche, per lo più dovute a convinzioni religiose circa la sacralità della vita e la sua cosiddetta «indisponibilità».

Ora il Belgio, con l’estensione dell’eutanasia ai minori, si allinea con le norme in vigore in Olanda già dal 2002. Molti mi hanno chiesto che cosa ne penso. Ho risposto ripetendo una mia forte convinzione: che nella stragrande maggioranza dei casi non ci sarebbe bisogno dell’eutanasia se le cure palliative (che non sono soltanto terapie anti-dolore, ma riguardano tutto l’accompagnamento del malato) fossero sempre e realmente praticate, e nel modo più efficace e più scientificamente aggiornato.

E’ falso, ed è stato più volte autorevolmente smentito in sede scientifica, che gli oppiacei non siano adatti ai bambini. Certo, purtroppo ci sono casi in cui le cure palliative si rivelano impotenti a togliere il dolore, e quindi penso che riempire questo tragico «vuoto» fosse un dovere, in un Paese dove l’eutanasia è ammessa per gli adulti. I pediatri ospedalieri belgi l’hanno chiesto insistentemente, e non si può non fargli credito del massimo impegno nell’usare le cure palliative per far morire senza dolore le piccole e inermi creature.

A chi s’indigna, come monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita («E’ un salto. Un salto abissale sotto il livello di civiltà, di umanità»), rispondo  semplicemente che è sotto il livello di civiltà e di umanità far soffrire chi è comunque destinato a morire, e soprattutto un bambino.  E racconto al monsignore la storia della piccola Sanne, così come l’ha scritta il dottor Eduard Verhagen nel 2006, sulla rivista MicroMega. E’ una storia cruda, che basta da sola a rappresentare le sofferenze ignorate che si consumano troppe volte nei reparti di patologia neonatale.

Ha scritto il dottor Verhagen, direttore della clinica Beatrix di Groningen: «Ho potuto constatare che la maggior parte dei non addetti ai lavori non ha neppure l’idea dell’esistenza di patologie tanto orribili nei neonati. Questo vale anche per la maggior parte dei genitori fino a quando non devono confrontarsi inaspettatamente con questi problemi.» E ha raccontato il caso della piccola Sanne, affetta dalla più grave forma di Epidermolysis Bullosa, una patologia incurabile e fatale che progressivamente distrugge la pelle e provoca l’autoamputazione degli arti.

«La pelle della bimba veniva via ogni volta che si doveva toccarla, e lasciava in quel punto penose lacerazioni dei tessuti profondi. Gli strati più superficiali delle mucose della bocca e dell’esofago si staccavano ogni volta che veniva nutrita, funzione espletata per intubazione. A giorni alterni si dovevano cambiare le bende, strappando la pelle appena riformata, e provocando un dolore estremo nonostante le migliori cure palliative.»

I genitori dei neonati sani e normali contemplano con immensa gioia le braccine e le gambine del figlioletto, spiano con un sorriso le smorfie della piccola bocca. I genitori di Sanne vedevano un corpicino tutto piagato, udivano il lamento alto e continuo della creatura martirizzata. Chiesero l’eutanasia: «Non vogliamo, ma per amor suo dobbiamo lasciarla andare».

Lei li condanna, monsignor Sgreccia?  

Umberto Veronesi



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