Le false informazioni sulla mammografia
Molte donne in questi giorni ricevono, attraverso i social network, un messaggio contro la mammografia, con tanto di invito alla diffusione, come nelle vecchie catene di Sant’Antonio. Si tratta di un’accusa alla mammografia di aumentare il rischio di tumore alla tiroide e un invito a chi vi si sottopone a chiedere al radiologo di indossare un apposito collare di piombo, per proteggere la ghiandola tiroidea dalle radiazioni ionizzanti.
Molte donne in questi giorni ricevono, attraverso i social network, un messaggio contro la mammografia, con tanto di invito alla diffusione, come nelle vecchie catene di Sant’Antonio. Si tratta di un’accusa alla mammografia di aumentare il rischio di tumore alla tiroide e un invito a chi vi si sottopone a chiedere al radiologo di indossare un apposito collare di piombo, per proteggere la ghiandola tiroidea dalle radiazioni ionizzanti.
Scientificamente l’allarme è del tutto infondato, come hanno dichiarato senologi, fisici e radiologi attraverso ogni canale autorevole: dalle riviste delle Associazioni Scientifiche fino al New York Times, e non meriterebbe in sé neppure una ulteriore smentita.
Tuttavia ciò su cui dobbiamo riflettere è il rapporto fra informazione medica e popolazione nell’era del web. L’insinuazione nasce nello studio televisivo di una trasmissione americana molto popolare - il Doctor Oz Show – nel 2010, e ciò che preoccupa è che il sospetto nell’opinione pubblica si è moltiplicato attraverso il web, e a poco è valsa la voce della scienza. Da un lato questo fenomeno rientra in una corrente anti diagnosi precoce particolarmente diffusa negli USA e che ciclicamente va all’attacco dello screening mammografico, in nome della lotta ad una eccessiva medicalizzazione.
La riposta è molto semplice: tutti siamo contro l’ipermedicalizzazione, ma nel caso del tumore del seno la mammografia salva la vita e salvaguarda l’integrità del corpo femminile, perché prima il tumore è diagnosticato maggiori sono le sue probabilità di guarigione e minore è l’impatto della cura sul fisico e la mente della donna. Questo è un dato oggi inequivocabile e chi lo mette in dubbio va contro il bene del mondo femminile.
Dall’altro lato però, questa “catena informativa “ ha origine anche nel nuovo ruolo dei media in medicina, che è un fenomeno più complesso da affrontare. Il web ha allargato i confini della conoscenza e della consapevolezza e dunque ha contribuito fortemente alla nuova medicina condivisa, che permette una partecipazione del paziente alle scelte sia di prevenzione che di cura. Però, essendo il regno della “democrazia assoluta comunicativa”, dove tutti possono esprimere il proprio parere, nei campi dove è indispensabile competenza e preparazione, come appunto la scienza medica, rischia di diventare un‘”anarchia”, una specie di Far West informativo, che confonde i navigatori mettendo a rischio la loro stessa salute.
Che fare? Certo non si può rinunciare al web o demonizzarlo, ma, come ha dichiarato il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, per navigare serve una bussola. E per la salute la bussola non può che essere il proprio medico: ogni informazione che si trova alla TV o su internet va analizzata con la propria razionalità e poi discussa con chi ci cura. Ormai noi siamo tutti abituati a ricevere pazienti che si presentano con un’ampia documentazione su quella che pensano essere la loro malattia. E’ un buon modo per iniziare un dialogo profondo e maturo, che è la base del rapporto moderno non solo medico-paziente, ma anche malato-malattia.
Umberto Veronesi