La vita non è un dovere
Perché un cittadino europeo che soffre senza speranza di guarire deve prendere un aereo o un treno per poter morire, avvalendosi della legge svizzera che permette anche agli stranieri di rivolgersi a un’organizzazione del cantone di Zurigo che offre il suicidio assistito
Perché un cittadino europeo che soffre senza speranza di guarire deve prendere un aereo o un treno per poter morire, avvalendosi della legge svizzera che permette anche agli stranieri di rivolgersi a un’organizzazione del cantone di Zurigo che offre il suicidio assistito? Come si sa, gli svizzeri hanno detto di no ai due referendum che volevano vietare quello che è stato chiamato il “turismo della morte, imponendo la clausola che si fosse residenti nella repubblica elvetica da almeno dieci anni. Era in pratica un divieto tout court, ma gli svizzeri sono stati pietosi: hanno bocciato i referendum, lasciando aperta questa possibilità anche agli stranieri.
Come ho scritto nel mio recente libro “Il diritto di non soffrire”, gli unici Paesi europei che hanno depenalizzato l’eutanasia (nel quadro di controlli rigorosissimi, e solo per chi è cittadino di questi Paesi) sono l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo. In Svizzera l’eutanasia resta vietata, ma è invece ammesso da settant’anni l’aiuto al suicidio, probabilmente perché si è preso atto, in modo pragmatico e compassionevole insieme, che non essendo il suicidio un reato, sarebbe assurdo negare a una persona inguaribile i mezzi per poter morire senza un’aggiunta di sofferenze e di terrore.
Certo, la “soluzione svizzera” non offre le garanzie (lunga conoscenza del malato da parte del medico, approfondimento delle ragioni) su cui si è basata la depenalizzazione dell’eutanasia nei tre Paesi sopra ricordati, ma è comunque un’opzione di libertà su cui non si può non essere d’accordo. Infatti in tutto il discorso, e non mi stancherò mai di ripeterlo, non è centrale il concetto di morte, ma il concetto di autodeterminazione: la vita è un diritto, ma non un dovere, ed è violare la libertà dell’individuo imporgli (in nome di che? Da parte di chi?) di vivere penosamente una vita non più voluta. Come ben si può capire, rispettare questa autodeterminazione non toglie nulla a chi, al contrario, desidera essere curato fino all’ultimo, anche con mezzi invasivi e straordinari. Alla persona che vuol vivere nonostante le sofferenze, non deve essere lasciato nulla d’intentato per prolungargli la vita, fosse pure di un’ora soltanto.
Umberto Veronesi