La tortura è peggio della guerra
Si è saputo di torture in Siria, di torture in Libia. Come nel Cile di Pinochet, la storia si ripete. Cittadini che scendono in piazza a manifestare pacificamente vengono arrestati e portati nelle caserme o negli impianti sportivi. Qui vengono torturati. Alcuni vengono rilasciati, molti scompaiono. Questa è la tortura della repressione e del terrore, che in Sudafrica, all’epoca dell’apartheid, straziò fisicamente e psicologicamente ottantamila detenuti. Poi c’è la tortura “strategica”, come ad Abu Ghraib e a Guantanamo. Si tortura per avere informazioni, e ci si giustifica col dire che queste informazioni possono evitare un altro 11 settembre.
Si è saputo di torture in Siria, di torture in Libia. Come nel Cile di Pinochet, la storia si ripete. Cittadini che scendono in piazza a manifestare pacificamente vengono arrestati e portati nelle caserme o negli impianti sportivi. Qui vengono torturati. Alcuni vengono rilasciati, molti scompaiono. Questa è la tortura della repressione e del terrore, che in Sudafrica, all’epoca dell’apartheid, straziò fisicamente e psicologicamente ottantamila detenuti. Poi c’è la tortura “strategica”, come ad Abu Ghraib e a Guantanamo. Si tortura per avere informazioni, e ci si giustifica col dire che queste informazioni possono evitare un altro 11 settembre.
Ma no, la tortura non può avere giustificazioni. Io ho fondato il movimento della Scienza per la Pace perché sono contro la guerra, e penso che la tortura sia addirittura peggio della guerra, perché non mette un armato contro un armato, ma un uomo inerme nelle mani degli aguzzini, e costituisce una regressione culturale perché nega l’uomo e il rispetto che si deve avere per ogni persona. Non c’è informazione che possa valere questo prezzo.
L’opinione pubblica, che reagisce davanti al delitto dietro l’angolo di casa, sembra stranamente insensibile davanti alle inchieste che documentano incredibili torture. Voglio ancora sperare, e pensare che la mente umana se ne distolga perché non può sopportare queste atrocità. Personalmente, rifuggo dall’idea che l’esistenza della tortura (praticata in ben 150 Stati, secondo i dati di Amnesty International) possa inverosimilmente essere considerata una delle tante modalità dell’agire politico.
Respingiamo un orrore che si vuol fare normalità. Ho appreso con un brivido di disgusto che esiste un “mercato” degli strumenti di tortura, sempre più tecnologici e sempre più efficaci nel produrre dolore: vengono fabbricati e commercializzati, e probabilmente chi è in questo giro si sente a posto come chi fabbrica o vende elettrodomestici. Contro queste forme del male dobbiamo sviluppare anticorpi, e ricordare sempre la livida sfilata dei torturatori dei campi di sterminio nazisti al processo di Norimberga. Avevano “ubbidito agli ordini, facevano il loro lavoro”.