La libertà degli altri non minaccia la tua
Infuriano le polemiche sul matrimono tra gay. Ma la famiglia è sempre stata quale la dipingono i tradizionalisti, oppure è cambiata con la cultura?
I Tartari potevano sposare sia le proprie figlie e sia le proprie madri rimaste vedove. La seconda cosa non succedeva mai, ed evidentemente c’erano buone ragioni, se ci si consente un sorriso. Uso come battuta questa piccola citazione etnico-storica per affrontare in modo sdrammatizzante il discorso del matrimonio tra gay, che in questi giorni sta provocando violente polemiche, dopo che il ministro dell’Interno ha chiesto ai prefetti di intimare ai sindaci di non trascrivere sui registri dello stati civile le nozze gay celebrate all’estero.
Il risultato è che si sono formati i soliti due schieramenti: uno per la famiglia tradizionale, e uno per la famiglia reinterpretata alla luce di una nuova mentalità. La prima (basta passare in rassegna l’antico diritto romano) ha come scopo precipuo quello di generare figli, la seconda rivendica il riconoscimento giuridico delle affinità e degli interessi che hanno portato a formare la coppia, e vi aggiunge anche la richiesta del diritto di adozione. In Francia, dove il matrimonio tra omosessuali è stato legalmente riconosciuto mesi fa, gli oppositori sono scesi in piazza e continuano a farlo, mentre con perfetta simmetria la contrapposizione è diventata politica: la sinistra a favore, la destra contro.
Che dire? Sono partito dagli usi e costumi matrimoniali degli antichi Tartari per mettere sul tavolo una semplice riflessione, anzi una banalissima domanda: la famiglia è sempre stata quale la dipingono i tradizionalisti, oppure – come tutte le espressioni della società umana – è stata investita dai cambiamenti di cultura? Mentre in Italia e in Francia ci si combatte sul piano ideologico, un po’ in tutto il mondo il cambiamento è diventato un fatto compiuto: ci si può legalmente sposare tra omosessuali in sedici nazioni, (tra cui le cattolicissime Spagna e Portogallo) e in 19 Stati degli Usa. Nel molto tradizionale Israele non si celebrano matrimoni gay, ma si trascrivono tranquillamente quelli celebrati altrove.
Faccio notare però che in questi Paesi il matrimonio tra omosessuali è stato approvato per legge, e che le unioni vengono regolarmente trascritte nei registri dello stato civile non per iniziativa dei sindaci, ma in seguito al voto favorevole del Parlamento, che è l’organo legislativo cui spettano queste decisioni. Non si aiutano le buone e serie ragioni dei gay con iniziative di questi sindaci, di cui è assai dubbia la legittimità giuridica, e che introducono altri motivi di confusione e di rissa in un Paese già confuso e rissoso. In realtà, si tratta di «pronunciamenti» politici, e i sindaci lo sanno.
E’ saggio mettersi su questa strada? Ne dubito. E’ invece il momento di discutere pacatamente, senza dare esca alle corride politiche.
Ciò di cui vi è assoluto bisogno è una legge-quadro che metta chiarezza nell’intera tematica della famiglia. Troppe coppie (e i loro figli) si trovano nella zona grigia delle unioni non riconosciute e non tutelate. Basta leggere i dati Istat per vedere quanti bambini nascono ormai al di fuori del matrimonio, e quanto stia crescendo la tendenza a formare le cosiddette «famiglie di fatto», che di solito non hanno come causa agente una ribellione all’istituto matrimoniale, ma l’impedimento di un precedente matrimonio ancora non sancito dal divorzio, delle cui lentezze e complicazioni siamo tutti consapevoli. Le contrapposizioni ideologiche non servono, fanno soltanto danno, e ritardano una giusta ed equilibrata evoluzione della società civile.
Non si tratta solo del matrimonio dei gay, quindi. E’ una situazione che va sistemata, sanata. Anche se recentemente c’è stata l’assoluta equiparazione tra i figli nati nel matrimonio e quelli nati dalle unioni di fatto, la famiglia non tradizionale è debole, e risulta non protetta. Questo è ancora più vero per le coppie di omosessuali conviventi, per le quali è (quasi) caduto lo stigma sociale, ma per le quali rimane un’ingiusta precarietà giuridica, a partire dal diritto di successione.
Infine, una riflessione più ampia. Negli ultimi decenni si sono affermati sempre di più quelli che sono sostanzialmente i «diritti della persona», e hanno incrociato temi etici come il diritto all’autodeterminazione (libertà di rompere il matrimonio, libertà di fare o no un figlio, libertà di scegliere come morire), e dispiace vedere che l’affermazione di questi diritti fondamentali viene messa in forse o rallentata dall’immediata e automatica divisione in schieramenti contrapposti. Una semplice e umanissima domanda, alla quale rispondere con sincerità, e senza arroccarsi nella difesa di valori astratti: davvero la libertà degli altri insidia la mia dignità e la mia libertà? Se un mio simile divorzia, non per questo io sono costretto a divorziare. Se due gay si sposano, non è che il mio matrimonio con una donna venga messo in pericolo. Se una coppia infertile riesce ad avere un figlio con le tecniche di fecondazione assistita, la loro felicità non fa male a nessuno. Infine, se una persona che soffre rivendica il diritto di morire, rimane intatto per tutti il diritto intangibile di vivere.