Il pericoloso esempio di Steve Jobs
Su Steve Jobs, il genio di Apple, si stanno incrociando due polemiche. Una è di tipo politico e qui non c’interessa. L’altra gira intorno alle dichiarazioni di un giovane oncologo, Ramzi Amri: secondo lui il tumore di Jobs non era letale, e se avesse seguito cure tradizionali invece che alternative il padre di Apple si sarebbe salvato.
Io mi guardo bene dal giudicare un caso di cui non ho conoscenza diretta e quindi non mi azzardo, senza conoscere a fondo il dossier clinico, a dire se il tumore di Jobs era tra quelli a prognosi più favorevole. Salvo smentite (che non ci sono state) sembra però assolutamente vero che Jobs, buddista e vegetariano, abbia rifiutato inizialmente le cure tradizionali, e abbia preferito affidarsi alla medicina cosiddetta “alternativa” e quando la situazione clinica è precipitata si sia rivolto alle terapie scientificamente convalidate.
Ora, io penso che essere buddista e vegetariano non sia una semplice nota biografica, e non vorrei vederla citata per inciso, come una curiosità. Citarla in questo modo fa di Steve Jobs un personaggio modaiolo, il che non faceva parte del suo stile, né della profondità del suo pensiero. Penso invece che la scelta vegetariana e l’adesione a un religione come il buddismo siano, in una persona intelligente e sensibile, il punto di arrivo di una ricerca etica ed intellettuale molto ampia e probabilmente anche molto sofferta.
Rispetto queste idee, ma da laico devo dire che spesso una lunga e appassionata permanenza nel mondo dello spirito ha l’effetto di spingere fuori strada anche le intelligenze più lucide e robuste. Perché preferire la medicina alternativa alla medicina “evidence based”, che allinea risultati realmente ottenuti e statisticamente provati? Mi dispiace profondamente pensare che Steve Jobs abbia affidato le sue speranze di guarigione alla scombinata congerie delle cure anticancro “dolci” o “alternative’(dall’olio di squalo ai clisteri di caffè), confutate e smontate una per una, nel loro libro “Una sfida possibile”, da due scienziati seri come Gianni Bonadonna e Jacopo Robustelli della Cuna. Anche per l’Aids sono state proposte cure eterodosse di tutti i generi, ma senza alcun successo, e senza un solo caso documentato di guarigione.
Ovviamente, ognuno è libero di scegliere come curarsi, ed è anche libero di non curarsi affatto. Intorno alla scelta individuale di Jobs non c’è quindi niente da obiettare. E’ invece l’effetto “rimbalzo” che mi preoccupa: se un personaggio percepito come un “guru” da milioni di persone diffonde una sua idea circa la salute e la malattia, il rischio è che convinca molti ad abbandonare le cure efficaci, e a scegliere una suggestione. Guarire dal cancro è anche una corsa contro l’orologio: un intervento chirurgico tempestivo può essere la salvezza, ma se si perde tempo con le illusioni, poi non c’è più nulla da fare.