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Il mio ricordo di Rita

Grazie, Rita. Non sei stata soltanto la scopritrice del fattore di crescita nervoso che ti ha valso il Nobel nel 1986, ma tra i nostri contemporanei sei stata la scopritrice della conoscenza come fattore di crescita dell’uomo. Ritenevi che l’istruzione sia la chiave dello sviluppo degli individui e dei popoli, e hai instancabilmente lanciato questo messaggio ai giovani. Bisogna forse tornare con il pensiero all’umanesimo rinascimentale e al genio poliedrico di Leonardo per trovare uno sguardo altrettanto globale di quello di Rita Levi Montalcini, che nella sua lunghissima vita ha condotto una battaglia dopo l’altra, con la stessa coraggiosa tenacia («Non so dove stia di casa la paura») di quando, giovane ragazza ebrea, sfuggì alla deportazioni continuando le sue ricerche. Univa lo sviluppo della scienza a quello della democrazia, e sottolineava che nei paesi senza democrazia anche la ricerca veniva osteggiata.

Il mio ricordo di Rita

Grazie, Rita. Non sei stata soltanto la scopritrice del fattore di crescita nervoso che ti ha valso il Nobel nel 1986, ma tra i nostri contemporanei sei stata la scopritrice della conoscenza come fattore di crescita dell’uomo. Ritenevi che l’istruzione sia la chiave dello sviluppo degli individui e dei popoli, e hai instancabilmente lanciato questo messaggio ai giovani. Bisogna forse tornare con il pensiero all’umanesimo rinascimentale e al genio poliedrico di Leonardo per trovare uno sguardo altrettanto globale di quello di Rita Levi Montalcini, che nella sua lunghissima vita ha condotto una battaglia dopo l’altra, con la stessa coraggiosa tenacia («Non so dove stia di casa la paura») di quando, giovane ragazza ebrea, sfuggì alla deportazioni continuando le sue ricerche. Univa lo sviluppo della scienza a quello della democrazia, e sottolineava che nei paesi senza democrazia anche la ricerca veniva osteggiata.

Sono stato onorato di conoscerla, di avere la sua amicizia. Le sono grato dell’appoggio che ha dato alla mia Fondazione (in cui era componente del Comitato d’Onore insieme con altri dieci premi Nobel) e ricordo la sua insuperata capacità di esaminare i problemi etici, sociali e scientifici alla luce di una ragione che andava alla ricerca delle cause dei problemi, sapendo che questo era il sistema per porvi rimedio. Rifuggiva dalle astrattezze, e  ogni sua battaglia era fondata su un programma. Così è stato per l’Etiopia, con un programma per la vaccinazione delle bambine contro il tumore del collo dell’utero, in cui hanno collaborato insieme la Fondazione Umberto Veronesi e la Fondazione Rita Levi Montalcini onlus. Per l’Africa, Rita Levi Montalcini aveva individuato il fattore di crescita nell’accesso delle donne all’istruzione, dalla quale è tagliata fuori la quasi totalità del sesso femminile. L’alto tasso di analfabetismo delle donne africane le costringe all’emarginazione sociale e lavorativa. Eppure, disse Rita con le parole dello scrittore camerunense René Philombe, «le donne sono le mille e una piccola mano che alimentano il continente. Mani anonime, mani invisibili, prive di retribuzione senza diritto alla terra, alla proprietà, al credito e all’eredità». Science for Peace è stata un’altra delle battaglie condivise, e ricordo ancora la sua determinazione nel proporrere un progetto di protezione del diritto di accesso all’acqua, indispensabile per non far dilagare la fame e la guerra.  

Rinascimentale come estensione dei suoi interessi intellettuali alle discipline più varie, Rita Levi Montalcini era assolutamente moderna (e adorata dai giovani) per la calma decisione con cui affrontava le battaglie della società civile. Le ho condivise con lei, e lo ricordo con emozione. Il testamento biologico, la difesa della fecondazione assistita, il manifesto firmato dagli scienziati per difendere l’insegnamento darwiniano sono alcune di queste battaglie, sempre affrontate con argomenti concreti, e non ideologici.

Non credo che volesse diventare ultracentenaria. In un’intervista, alla domanda sugli organi artificiali, aveva detto: «Non tutto quello che si può fare si deve fare. Prolungare la vita di un vecchio al di là del giusto è immorale per lui e per l’enorme sacrificio economico che questo richiede alla società. Non mi augurerei che la mia vita venisse prolungata. E’ molto meglio che la vita cessi quando non si ha più la piena capacità di prestazioni intellettuali e psichiche».

Umberto Veronesi



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