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Il mio "manifesto contro le guerre"

A descrivere la morte in battaglia e le distruzioni della guerra ci hanno provato da sempre la poesia e la pittura. Se non ricordo male, è di Virgilio l’immagine del giovane caduto, con il volto “color del giacinto”, cioè di un pallido viola. E “La chanson de Roland” dà un quadro agghiacciante del campo di Roncisvalle, coperto di morti. La pittura non è stata da meno, dalla battaglia dipinta da Paolo Uccello al “Guernica” di Picasso. Ma è la fotografia, a partire dalle prime immagini dell’Ottocento, a catturare compiutamente la tragedia. Perciò, quale “Manifesto” contro la guerra può eguagliare la scossa di una mostra fotografica?

Il mio "manifesto contro le guerre"

A descrivere la morte in battaglia e le distruzioni della guerra ci hanno provato da sempre la poesia e la pittura. Se non ricordo male, è di Virgilio l’immagine del giovane caduto, con il volto “color del giacinto”, cioè di un pallido viola. E “La chanson de Roland” dà un quadro agghiacciante del campo di Roncisvalle, coperto di morti. La pittura non è stata da meno, dalla battaglia dipinta da Paolo Uccello al “Guernica” di Picasso. Ma è la fotografia, a partire dalle prime immagini dell’Ottocento, a catturare compiutamente la tragedia. Perciò, quale “Manifesto” contro la guerra può eguagliare la scossa di una mostra fotografica?

La Fondazione Veronesi, in occasione della Terza Conferenza Internazionale di Science for Peace (Milano, 18-19 novembre prossimi) fa quindi tornare in Italia da Parigi il percorso fotografico “Ombre di guerra”: 90 grandi icone della fotografia per offrire al pubblico una meditazione ragionata sul significato e sul potere simbolico di queste immagini tragiche. A Parigi l’esposizione è stata visitata da centinaia di migliaia di persone e ora la mostra verrà inaugurata a Roma martedì 13 dicembre.

Secondo me, in un tempo multimediale come il nostro, una fotografia riesce ad ancorare l’attenzione e la riflessione molto meglio delle immagini in movimento di un filmato. Anche perché un reportage filmato non si distingue, visivamente, dalle immagini violente della “fiction”, che con l’assuefazione hanno congelato qualsiasi sensibilità. Ha detto Arrigo Benedetti, il grande giornalista fondatore dei settimanali Europeo e L’Espresso: “I giornali si guardano, le fotografie si leggono”.

Sì: le fotografie stanno lì, un terribile fermo-immagine di verità. Sono fotografie che vogliono essere un invito alla riflessione e poi al dibattito su come dire basta alla violenza. Per questo la mostra fa parte delle iniziative promosse da Science for Peace, il progetto che ho voluto creare per promuovere la cultura della non violenza e della tolleranza. Un percorso visivo doloroso, capace però di stimolare reazioni e richiamare l’attenzione sulla follia della guerra. Il soldato che stringe il fucile, traumatizzato dalle bombe in Vietnam, nello scatto di Don McCullin; la veglia funebre in Kosovo di Merillon; il miliziano colpito a morte nella guerra civile spagnola, famosa icona della vita gettata al vento opera di Robert Capa; le fosse comuni della Bosnia nelle foto di Gilles Press. Sono solo alcune delle immagini che raccontano una dopo l’altra le guerre più recenti, dalla Spagna del 1936 al Libano del 2006: settanta anni di storia della iconografia del dolore. Sul significato e la follia di una pratica insensata come è la guerra.

E’giusto fotografare l’orrore? Secondo me, sì, ed è pretestuosa la polemica su un sensazionalismo fine a se stesso. Ha scritto Cornell Capa, fratello del leggendario Robert: “Le immagini, al loro massimo di passione e verità, possiedono lo stesso potere delle parole. Se non possono apportare cambiamenti, almeno possono fornire uno specchio non distorto delle azioni umane e quindi dare una forma alla consapevolezza umana e risvegliare le coscienze”.

E’ quello che vogliamo fare con Science for Peace.  

Umberto Veronesi



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