Gli eroi del nostro tempo
Come sosteneva Brecht, «il popolo ha bisogno di riferimenti superiori». Oggi è fondamentale il contributo di chi si preoccupa della salute altrui senza chiedere in cambio un ritorno di immagine
Lo confesso. Mi sono innamorato del Gary Cooper di «Mezzogiorno di fuoco» e del Gregory Peck del «Buio oltre la siepe». E anche, molti anni più tardi, del Liam Neeson di «Schindler’s List». Perché in questi personaggi di eroi soli contro tutti, ma sostanzialmente miti e modesti, ho trovato quella cosa impossibile che è la bontà sostenuta dal coraggio della ragione.
Quando ero bambino, sull’onda del «Cuore» di De Amicis andavano ancora di moda gli esempi morali da proporre ai giovanissimi, ma spesso erano storie assurde che risentivano di tutto il perbenismo ottocentesco. Quando diventai adolescente mi sembrarono ben più convincenti, al liceo, gli esempi di virtù proposti da Plutarco, tanto più che in queste biografie parallele di uomini celebri si dava al lettore la possibilità di conoscere il male e distinguerlo dal bene. Possiamo ancora credere negli eroi positivi? Tutti, anche i più giovani, sanno bene che l’età dell’innocenza è finita, ma io vedo una scintilla di passione negli innumerevoli «mi piace» che spesso si dirigono in rete a condividere avvenimenti e persone che tutt’a un tratto emergono dal cinismo generale e propongono un’idea generosa e buona. Al di là della voglia «di esserci», che rende virale l’adesione, si legge in questi messaggi l’inconsapevole nostalgia del vuoto lasciato nella società dalla mancanza di ideali.
Qui, come nelle carte geografiche antiche, appare inevitabilmente l’avvertenza dello «Hic sunt leones». L’appena trascorso Novecento ci ammonisce circa le tragedie scaturite dai cosiddetti ideali, e con Bertolt Brecht ci ricorda che «è felice il popolo che non ha bisogno di eroi». Sono pienamente d’accordo, ma insisto: io penso a eroi senza fanfare e senza certezze, che misurano le proprie azioni non su princìpi astratti, ma sull’immediato bene degli altri. Eroi consapevoli di essere in pari misura impastati di bene e di male, e che non si propongono ad esempio. Sanno semplicemente che in quel momento - e solo in quel momento - possono fare qualcosa di buono, e lo fanno. Penso ai medici e agli infermieri che a rischio della vita hanno curato i malati di ebola, penso a chi nelle zone di guerra si sforza di mettere in salvo i bambini. I loro nomi sono sconosciuti, ma vivi o morti che siano, hanno raggiunto la schiera sorridente e lieve di chi, senza parole altisonanti, si è caricato il fardello d’impedire il male.
Umberto Veronesi