Figli naturali e figli "artificiali"
Padre di 600 figli. Tecnicamente, è quello che è successo in una costosa clinica privata di Londra, dove per una trentina d’anni il biologo che era a capo della struttura usò il proprio seme per fecondare le pazienti.
Padre di 600 figli. Tecnicamente, è quello che è successo in una costosa clinica privata di Londra, dove per una trentina d’anni il biologo che era a capo della struttura usò il proprio seme per fecondare le pazienti.
Per delirio di onnipotenza, è una delle ipotesi. Perché era più comodo che selezionare un gruppo di donatori adatti. Perché era gratis. Perché tra il 1940 e il 1972, anni in cui i figli furono concepiti, non si andava troppo per il sottile: soltanto nel 1990 un accordo internazionale (lo Human Fertilization and Embriology Act ) ha stabilito il limite rigido di non più di dieci donazioni di sperma per ciascun donatore, per minimizzare il rischio che un Fato molto simile a quello della tragedia greca porti un fratello e una sorella ignoti ad avere un rapporto sessuale, e a concepire un figlio.
E’ arduo dire quale di queste ipotesi sia la più probabile, ma mi sentirei di scartare la prima, quella del delirio di onnipotenza, perché si fa fatica a pensare che un biologo possa considerare esaltante un atto meccanico di propagazione della specie in cui sono impegnati tutti gli individui viventi, dai grandi primati ai pesci.
Il super-padre biologico è scomparso nel 1972, ma tutta la vicenda è venuta alla luce per le ricerche fatte da due dei 600 figli concepiti con il suo seme, che si erano insospettiti per la somiglianza. I due, un avvocato londinese e un documentarista canadese, hanno seguito la pista per anni e anni, e sono riusciti a rintracciare una ventina di probabili fratelli biologici, che si sono confermati tali grazie al test del Dna. E’ ovvio che sul piano etico si profilino almeno tre domande.
E’ giusto dire al figlio che è il frutto di un’inseminazione artificiale, o è meglio tacere? E’ giusto che venga mantenuto l’anonimato dei donatori di seme? E’ lecito che diventati adulti i figli cerchino di risalire al padre biologico e di rintracciare i fratelli per parte di padre? Sono domande che affondano nel profondo dell’identità personale, e non è facile rispondere. Mi sentirei però di dire che «fratello» non è un individuo il cui assetto genetico dimostra l’origine dallo stesso padre, e che cercare per il mondo questi fratelli è correre dietro a un’illusione, a una pretesa «voce del sangue» che è soltanto un identikit di laboratorio.
Il fratello e la sorella sono quelli con cui abbiamo pianto, abbiamo riso, abbiamo giocato, con cui ci siamo picchiati. Sono loro che affiorano dai nostri primi ricordi, e il padre e la madre, adottivi o naturali, sono quelli che ci hanno aspettato svegli quando tardavamo a rincasare.
Umberto Veronesi