Come convivere con il tumore
La riabilitazione oncologica deve mettere al centro il paziente, per restituire alla società una persona capace di vita affettiva, sociale e lavorativa
Forse perché il cambiamento è stato graduale, non tutti ne hanno preso coscienza: malattie che uccidevano ora guariscono, oppure a pieno titolo si sono trasformate in malattie croniche, con cui si riesce a convivere per uno spazio di tempo che a volte coincide con quella che si può considerare una durata standard della vita. E’ il caso dell’infezione da Hiv, è il caso di tumori come quello della prostata e del seno (grazie alla diagnosi precoce, guariscono al 90 per cento), è il caso delle leucemie infantili.
Si tratta di buone notizie, che però devono anche produrre un cambiamento nella medicina e nei medici. La medicina deve restituire alla società una persona capace di vita affettiva, sociale, lavorativa. E deve nascere un medico nuovo, che non può più curare un malato senza mettersi sul suo stesso piano, parlargli e sapere chi ha di fronte e qual è la sua visione e il suo progetto di vita. Siamo nell’era della medicina della persona. Questo è particolarmente vero in quella che possiamo chiamare la riabilitazione oncologica. Una persona che ha avuto un tumore da cui è guarita è stata comunque segnata pesantemente, e il problema è ancora più delicato quando la persona si trova a convivere con una malattia che viene tenuta sotto controllo, ma che non guarisce.
Bisogna forse confessare francamente che la scienza medica è impreparata alla svolta. Qual è il medico per questo futuro che sta iniziando? Forse conviene prendere in considerazione la sottile ma fondamentale differenza con cui la lingua inglese definisce la malattia: «illness» è la malattia come la vive soggettivamente il malato, mentre «disease» è la malattia osservata e oggettivata dal punto di vista scientifico. La pratica biomedica si preoccupa soltanto di assimilare completamente la prima nella seconda.
È proprio ciò che non si deve fare, ed è qui che si determina la sfalsatura. La riabilitazione oncologica, di cui si è cominciato a parlare da poco, non è un insieme di norme, o di esercizi fisici, o di accorgimenti. Deve invece, necessariamente, partire da una specie di antropologia della salute, che vede il paziente al centro, con tutta la sua soggettività.
Umberto Veronesi
Confermo, da ex paziente oncologico, ciò che ha fatto la differenza è proprio questo approccio che ho avuto la fortuna di incontrare