Che sciocchezza salutare Papa Francesco con il presentat’arm
Papa Francesco è andato a trovare Giorgio Napolitano, il nostro presidente della Repubblica. E’ stata una visita ufficiale, come si dice, ma il papa al Quirinale ci è arrivato con una modesta auto di serie e senza scorta.
Papa Francesco è andato a trovare Giorgio Napolitano, il nostro presidente della Repubblica. E’ stata una visita ufficiale, come si dice, ma il papa al Quirinale ci è arrivato con una modesta auto di serie e senza scorta. La mattinata era straordinariamente limpida, un’aria di pace è calata nel silenzio del cortile dove lo attendeva il presidente.
Quando d’improvviso quell’atmosfera serena è stata squarciata da un ordine urlato e perentorio: presentat’ arm. Si dirà che è il protocollo di queste cerimonie a prevedere che una rappresentanza delle forze armate, schierata su due file, renda “onore” al visitatore illustre che giunge al Quirinale. Ma io non posso pensare a niente di più incongruo di braccia militari che alzano mitra e fucili nel saluto a Francesco. E ripenso alla sera del 6 settembre scorso, durante la preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente e in tutto il mondo: «In ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino!»
Mi piace quest’uomo, mi piace papa Francesco. Non solo perché invoca la pace. Altri pontefici l’hanno fatto. Francesco mi piace perché ci provoca tutti a un cambiamento, a un nuovo modo di pensare. Proprio la cerimonia al Quirinale, con la voce stentorea dell’ufficiale che comanda di fare il presentat arm a un uomo mite e di pace, stimola in me domande incalzanti.
Perché per fare onore a qualcuno sembra giusto presentargli un simbolo della patria in armi? E a sua volta,perché finora in tutte le nazioni il concetto di patria si è indissolubilmente legato alle armi? Nella sublime tenerezza del messaggio del papa («Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri») io intravedo un futuro in cui i picchetti d’onore non saranno più formati da soldati, ma da donne e uomini con i bambini in braccio. Le famiglie, così belle nella loro speranza di futuro. Sono loro che rappresentano la Patria, e non vogliono né morire né far morire. Vogliono vivere, lavorare, abitare una società che abbia ritrovato il senso del dovere e che rifugga dalla corruzione e dal cinismo. Proprio come dice Francesco: «Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi. La nostra coscienza si è addormentata.» Qui a Milano, nella quinta Conferenza mondiale di Science for Peace, uomini di scienza e di lettere, da tutto il mondo sono venuti per portare il loro granello di umana sapienza, perché credono nella pace che è fattrice di progresso e di benessere.
Umberto Veronesi