Cari amici, donereste un giorno di ferie per chi soffre?
Vi ricordate «I ragazzi della via Pàl?» Io lo lessi con emozione e partecipazione a un’età che era quella dei protagonisti, e non so se mi piaceva di più il generale Boka, che era già un uomo in erba, o il soldato semplice Ernesto Nemecsek, un bambino pieno di paura e di coraggio.
Vi ricordate «I ragazzi della via Pàl?» Io lo lessi con emozione e partecipazione a un’età che era quella dei protagonisti, e non so se mi piaceva di più il generale Boka, che era già un uomo in erba, o il soldato semplice Ernesto Nemecsek, un bambino pieno di paura e di coraggio.
Forse perché nella vita avrei fatto il medico, anche se allora non lo sapevo, ricordo che fui molto colpito da un particolare: mentre il povero biondino Nemecsek moriva nel suo lettuccio dopo essere stato costretto dai «nemici» a un’immersione nel laghetto gelato, suo padre sarto lavorava a finire una giacca che gli era stata sollecitata con impazienza, facendo grande attenzione a non macchiarla di lacrime. La famiglia aveva bisogno di tutti gli stentati guadagni, e ancor di più ce n’era bisogno per la malattia di quel bambino.
Ho pensato a questa scena leggendo una notizia dalla Francia: nel 2009, nelle officine Badoit di un paesino della Loira, i compagni di lavoro, grazie a un accordo col proprietario della fabbrica, donarono a un collega 170 giorni di riposi non goduti, per consentirgli di rimanere a casa accanto al figlio di undici anni con un tumore terminale. Giorni di riposo donati in modo anonimo, non per chiedere un grazie.
Perché non fare in modo che quell’iniziativa di solidarietà non restasse un atto isolato, ma potesse consentire ad altri genitori disperati di ricevere in dono giorni di riposo rinunciati dai compagni di lavoro? Così è sorta un’associazione, «Da una farfalla a una stella», e le cose sono andate avanti. Si è arrivati a un disegno di legge, e proprio in questi giorni l’Assemblea Nazionale (l’equivalente della nostra Camera dei deputati) l’ha ratificata. Ora passerà al Senato, e si spera che anche lì venga approvata. Non mancano le voci e i voti contrari di chi sostiene un «diritto uguale per tutti», sottratto alle iniziative volontaristiche, ma per cambiare in questo senso le leggi sul lavoro chissà quanto tempo passerebbe. Intanto le famiglie con un bambino gravemente ammalato sopravvivono a fatica, perché i giorni di congedo concessi per la malattia del figlio sono pagati molto meno del parametro contrattuale. Ha detto il padre del bambino: «Bisogna averla vissuta, per capire che la malattia di un figlio trascina con sé la precarizzazione della famiglia. Il sistema attuale chiede ai genitori di scegliere tra il lavoro e l’accompagnamento della propria creatura».
Forse sarà un’immagine di quelle che gli scettici definiscono «strappacuore», ma il padre di Nemecsek che piange mentre lavora è un’immagine dell’umanità a rischio di perdita e di sconfitta, e merita un dibattito. Cari amici, dareste un giorno del vostro tempo libero per consentire a un papà, a una mamma, di stare con il bambino che soffre e muore? C’è un bicchiere d’acqua da dargli, e un’ultima favola per fargli ridere gli occhi.
Umberto Veronesi