Cara Franca, non ti diciamo addio
Eri una di quelle persone alle quali non si dice mai addio, perché restano con noi. Cara Franca Rame, tu resti con noi perché hai incarnato con Dario tutta una stagione della speranza, quella che è stata chiamata l’utopia del Sessantotto, e che è stata il sogno condiviso della dignità e della libertà. Venivi da un’antica famiglia di attori girovaghi che ti ha portato in scena appena nata, e quindi sei diventata attrice, hai incontrato e sposato Dario Fo, e insieme avete fatto tanti spettacoli che ci hanno fatto ridere e indignare. Vi hanno cacciato dalla Tv di Stato, quando avete cantato e recitato contro le “morti bianche” degli operai che muoiono nei cantieri.
Eri una di quelle persone alle quali non si dice mai addio, perché restano con noi. Cara Franca Rame, tu resti con noi perché hai incarnato con Dario tutta una stagione della speranza, quella che è stata chiamata l’utopia del Sessantotto, e che è stata il sogno condiviso della dignità e della libertà. Venivi da un’antica famiglia di attori girovaghi che ti ha portato in scena appena nata, e quindi sei diventata attrice, hai incontrato e sposato Dario Fo, e insieme avete fatto tanti spettacoli che ci hanno fatto ridere e indignare. Vi hanno cacciato dalla Tv di Stato, quando avete cantato e recitato contro le “morti bianche” degli operai che muoiono nei cantieri.
Non importa. Siete usciti dal circuito dei grandi teatri con i nomi degli attori in lampade al neon, siete andati nelle scuole e nelle fabbriche occupate, nei circoli Arci, vi siete spinti fino alle terre e alle nebbie del delta del Po, tra pescatori e contadini. Avete raccolto le favole e i dialetti prima che sparissero per sempre, e ne avete fatto spettacoli stralunati e grandiosi in cui si poteva ascoltare come batte il cuore dell’Italia, e come sono pieni di magnificenza i racconti del popolo.
Poi tu hai abbracciato la difesa delle donne, e non l’hai più lasciata, portandola in scena con passione e rabbia, e levando alta la voce, anche come rappresentante eletta al Senato.
E in questo momento in cui un amore che non è amore continua a massacrare le donne, ci spingi a batterci contro la violenza con l’agghiacciante monologo «Lo stupro», che hai scritto e recitato trent’anni fa. Nel 1973, un branco di fascisti che non sono mai stati cercati e puniti, ti rapì e si accanì su di te con una violenza di gruppo. Tu hai avuto la forza coraggiosa di farne una testimonianza, e ce l’hai lasciata in eredità. E’ una pagina di grande teatro, tu sei vestita di nero, hai il volto di pietra e il respiro mozzo. E raccontandoci quello che è successo, ti unisci per sempre a tutte le donne del mondo – fragili e indifese, caldo e dolce nido di vita calpestato - che hanno sofferto violenza e orrore.
Perciò tu resti con noi per sempre. E non ti diciamo addio.
Umberto Veronesi