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Scienziate? Ragazze, si può fare

Elena Cattaneo intervista 10 studiose di alto livello per contrastare il pregiudizio che allontana le donne dalle materie Stem. Genetiste, esperte di lingue indecifrate e di scimpanzè, specialiste dei quanti e di alberi malati: unite da un grande entusiamo

 Scienziate? Ragazze, si può fare

 

di Serena Zoli

 

A Boston fu colpita da “un colpo di fulmine” per la Còrea di Huntington, e fu amore duraturo: sono 30 anni che ci si dedica. Ora, la Còrea di Huntington è una terribile malattia neurodegenerativa di cui si sa – e ancor meno si sapeva allora – pochissimo. A ognuno i suoi “colpi di fulmine”, si dirà, tanto che si può subirlo anche per degli scimpanzé o per un “buco nero” in cielo. E sono tante altre le, si direbbe, “insane passioni” tanto sono totalizzanti, di cui è andata alla ricerca Elena Cattaneo, la scienziata della Còrea di Huntington, docente all’Università di Milano e, dal 2013, senatrice a vita della Repubblica. Tutto questo per scrivere Scienziate. Storie di vita e di ricerca, dove l’indagine verte sul cosiddetto “gender gap” riferito alla domanda: le donne scelgono studi scientifici, le cosiddette materie Stem (Science, technology, engineering, mathematics) in quantità molto inferiore ai maschi per una predisposizione innata oppure perché deviate verso le facoltà umanistiche dalla discriminazione sessuale?

La Cattaneo è scienziata di grande successo, dirige a Milano un laboratorio di biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurovegetative con 25 persone e coordina un consorzio europeo formato da dodici laboratori, compreso quello dell’Università di Lund (Svezia).

Confessa, candidamente, che fino a non molto tempo fa non credeva all’ostacolo per il genere femminile di fronte a posti di successo e di comando e, pure, di orientamento professionale. Il soffitto di cristallo? Beh, per spaccarlo bisogna innanzitutto vederlo, percepirlo. Lei non si era mai accorta di aver subito discriminazioni.

Poi ha guardato meglio. E negli abbandoni femminili, spesso davanti “all’ultimo miglio” professionale, anziché mancanza di ambizione ha visto altro: che «il gender gap è profondo, radicato, millenario» e comincia nell’infanzia quando vengono instillati nelle bambine gli stereotipi del “tu non sei capace”, “tu non sei adatta”, “i maschi sono più forti in aritmetica”.

Così si è data una diversa spiegazione dei numeri riferiti all’università: da dieci anni le ragazze sono il 54 per cento degli iscritti, ma una minoranza nelle materie Stem, col 39 per cento, mentre affollano per il 78 per cento le facoltà di area artistica, letteraria, educativa. Eppure nei bambini non si rilevano differenze nella resa in matematica tra maschi e femmine. La divergenza di “scelta” o “propensione” compare nella pre-adolescenza.

Così la professoressa Cattaneo si è messa sulle tracce di altre scienziate come lei, ma nei campi più diversi purché dell’area Stem e arrivate al top. Con che prezzo? Con quali soddisfazioni? E ce le racconta in questo libro che potrebbe convertire più di una studentessa. Anche perché, dice la Cattaneo, si è resa conto in tanti incontri con i giovani che quello che più li coinvolge è l’esempio. Per questo lei, ben nota per la sua estrema riservatezza, qui si è lasciata andare ad aprire la porta della sua famiglia, a parlare del padre, accennare al marito, a far sapere dei due figli. Deve essere chiaro, infatti, come scrive nella postfazione, che ogni donna ricercatrice con un progetto familiare deve giostrarsi «tra figli, frigoriferi da riempire, lezioni, viaggi in continenti diversi, immerse fino al collo nell’entusiasmo ma anche nella fatica da farsi scivolare addosso, per fortuna con la complicità di mariti e famiglie».

Difficile? Certamente. «Ma si può fare!», come esclama Vincenza Colonna, dopo «un periodo durissimo» con l’ultimo figlio attaccato al seno, dinanzi alla vittoria di un bando prestigioso e dopo aver traslocato marito e due bambini a Memphis, in Tennessee all’inseguimento del genoma umano.

«Sì, ne vale la pena!» le fa eco, dal Parco nazionale di Loango in Gabon, la biologa evoluzionista Alessandra Mascaro all’inseguimento (proprio fisico: tra acquitrini in cui immergersi dalle acque poco rassicuranti e savana e radici giganti da scalare) di uno scimpanzé di una comunità di 43 individui.

E’ stata lei a scoprire e fotografare quello che abbiamo poi saputo tutti in tutto il mondo: gli scimpanzè sanno curarsi e curare altri mettendo certi insetti sulle ferite proprie ma anche altrui! “Possiamo parlare di ‘scimpanzé dottori’”?

Di sicuro Alessandra sa questo: seguire uno scimpanzé dall’alba fino a sera, dovunque vada, dovunque si fermi, facendo anche 20 chilometri al giorno,

«E’ la cosa più bella che mi sia mai capitata».

Ecco, l’entusiasmo: accomuna tutte le 10 scienziate che incontriamo in questo libro. «Amare il mio lavoro è la mia ancora di salvezza», afferma l’elettrofisiologa Miriam Melis. «Facciamo un lavoro bellissimo», gridò davanti al Presidente della Repubblica Napolitano un’altra, pur precaria pagata due soldi. E lui lo ricordò nel discorso di fine anno.

Altro tratto in comune: tutte sono andate all’estero all’inizio per qualche anno (la Cattaneo dal 1988 al 1992 al Mit di Boston) perché questo scompiglia le idee acquisite e apre la mente a nuove visioni.

Catalina Curceanu, invece, dall’estero è venuta a lavorare in Italia: dai pressi del castello di Dracula, in Romania, ai laboratori sotterranei del Gran Sasso. E’ una studiosa di fisica quantistica, materia che così spiega per i profani: «Si sfrutta la sovrapposizione di stati», qualunque cosa questo voglia dire. E sostiene che la quantistica, a nostra insaputa, circola nella nostra vita quotidiana: lavatrice, computer, foto digitali… Assicura pure che nella sua oscura materia si fanno «meravigliosi esperimenti» e che, per quanto noi li immaginiamo algidi e impenetrabili, nei loro congressi i “quantistici” si buttano in discussioni accesissime «a un passo dal lanciarsi le sedie». Che strana la teoria dei quanti!

E la teoria dei buchi neri? Ecco qua l’astronoma e astrofisica Mariafelicia De Laurentis, oggi ricercatrice all’Istituto nazionale di Fisica nucleare, dopo 10 anni in Russia e Germania. E’ stata l’unica donna del team che il 10 aprile 2019 ha mostrato in prima mondiale l’immagine di un buco nero. «Una delle emozioni più belle della mia vita», il suo commento.

Spesso nei convegni internazionali queste scienziate si trovano a essere l’unica donna: per merito speciale o invitata in funzione di “quota rosa” per salvare la faccia? Se lo chiede Miriam Melis, elettrofisiologa dell’Università di Cagliari, che lamenta le difficoltà opposte alla sperimentazione animale cui l’Italia, con una legge del 2014, oppone maggiori divieti dell’Europa.

Non pensava di darsi alla ricerca. Aveva scelto la laurea in farmacia, poi – su consiglio di un docente - decise di fare una tesi sperimentale. Entrata in un laboratorio, se ne innamorò e non ha più voluto lasciarlo. Studia in particolare come mai certi disturbi mentali colpiscono alcuni e altri no, benché abbiano subito gli stessi traumi. Sotto la sua lente anche i tanti suicidi dei giovani.

I “no” alla ricerca viva li ha ricevuti – e li riceve – anche una scienziata che di professione fa l’alboricoltrice. Sì, Alessandra Gentile studia gli alberi, e per sperimentare in un campo piante geneticamente modificate al fine di combattere una malattia dei limoni, si è sentita opporre un no tassativo. Tant’è che uno di questi studi l’ha dovuto far concludere in Cina, inviando le piante e tutto là. Conclusione positiva, ma il malsecco – contro cui si tentava un rimedio per via genetica – in Cina non c’era.

Ma perché questi no a mettere nel terreno le piante studiate, in vitro e con tante sofisticate tecniche, per combattere parassiti, virus, condizioni climatiche sfavorevoli? Dai governi di qualunque colore, i no sono fermi, ma senza chiarezza scientifica, spiega la professoressa Gentile. E non importa che il suo gruppo di ricerca all’Università di Catania sia stato il primo al mondo a sequenziare il genoma del limone. «Ma l’importante è non perdere l’entusiasmo», conclude saggiamente – ed entusiasticamente - l’alboricoltrice.

Altra studiosa entusiasta è Simona Lodato, biologa molecolare dello sviluppo che così si presenta: «Studiare il cervello è la mia sfida quotidiana». Anche lei ebbe una folgorazione in un laboratorio di biofisica: si trattava dei danni indotti dalle radiazioni cosmiche sul Dna degli astronauti. Una delle frontiere del futuro nelle neuroscienze su cui è impegnata ogni giorno è la formazione e lo studio di “organoidi cerebrali”. Il suo strumento sono mappe molecolari dell’interno della scatola cranica ad altissima risoluzione dove si possono financo vedere i percorsi deviati alla base delle patologie cerebrali.

In materie forse confinanti svolge la sua attività alla guida di un gruppo all’Istituto di Genetica e Biofisica al Cnr di Napoli Vincenza Colonna, genetista allo studio del genoma e della genomica (sì, sono due cose distinte). E’ anche professoressa associata all’Università del Tennessee, dove dirige una biobanca. E’ lei quella del «lavoro bellissimo» strillato a Napolitano.

Racconta che indagando i Dna si servono di “sequenziatori” grandi come armadi e pesanti come monoliti ma anche tanto piccoli da stare sul palmo di una mano. Dove porta la sua attività? Alla “medicina di precisione” o “medicina personalizzata”: individuato di ciascun paziente il preciso identikit genetico gli si potrà somministrare il farmaco creato su misura per lui.

Uscendo dai laboratori, o entrando in laboratori grandi come campi di calcio, incontriamo l’ingegnera sismica Maria Giovanna Durante. Che cosa studia? Non se vi sarà un terremoto, ma gli effetti dei terremoti sul patrimonio costruito. «Il terremoto di Amatrice del 2016 – dice – liberò un’energia paragonabile a quella della bomba su Hiroshima». A lei studiare regole di costruzione adatte a resistere a forze simili. Porta il suo nome, “modello Durante” una delle linee-guida Usa per la progettazione in zone sismiche.

Come salvare il patrimonio artistico anche senza sommovimenti di terra è il compito di Costanza Miliani, una “chimica fuori dai canoni”, direttrice dell’Istituto di Scienze del patrimonio culturale del Cnr. Sua l’idea, e la realizzazione, che anziché portare le opere d’arte nei laboratori di studio e di restauro, si porti il laboratorio in chiese e palazzi davanti al pezzo artistico con un laboratorio mobile. Il MobLab è la sua creazione.

Spiega che studiando la chimica dei colori si arriva a capire le tecniche di lavorazione, l’organizzazione del lavoro, le tecnologie allora disponibili e altro ancora. Fascinosa la storia del blu oltremare ottenuto dai lapislazzuli, che si ammira per esempio nel manto della “Madonna del Cardellino” di Raffaello. E’ nei suoi studi che con radiazioni elettromagnetiche a precisione micrometrica si individuano i disegni sottostanti a un dipinto o le prime pennellate, poi respinte, di un pittore.

Silvia Ferrara decisamente ama il mistero: si è dedicata a lavorare sulle scritture antiche ancora indecifrate, che sono una dozzina in tutto il mondo. Mesopotamia, Grecia, Cina, Egitto, territorio Maya le sue zone di interesse. La sua specialità è la Filologia micenea di cui è docente all’Università di Bologna, ma per esempio è lei che ha portato una prova significativa sul fatto che il Rongorongo sarebbe stato parlato nell’isola di Pasqua prima dell’arrivo degli europei e della loro influenza.

E’ che la scrittura è stata inventata in tanti posti diversi, comunque tardivamente dappertutto: perché, avvertono gli studiosi come Silvia Ferrara, parliamo da 150mila anni ma abbiamo cominciato a scrivere – invenzione favolosa – soltanto 5.000 anni fa.

 

Scienziate. Storie di vita e di ricerca

di Elena Cattaneo

Raffaello Cortina Editore

pagine 195, euro 16



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