Quante bufale sul Psa e il tumore della prostata
Ne «Il grande inganno sulla prostata» Richard Ablin, scopritore dell'antigene prostatico specifico, boccia lo screening di massa. Dosaggio del Psa indicativo soltanto se ripetuto nei soggetti a rischio
Le sue parole valgono quasi come il gesto di un padre che ripudia il proprio figlio. Richard Ablin, docente di immunobiologia all’Università di Tucson, in Arizona, è stato colui che nel 1970 scoprì l’antigene prostatico specifico (Psa), oggi considerato tra i primi indicatori di salute della prostata. La scoperta ha reso famoso Ablin, che da qualche anno ha però preso le distanze dall’utilizzo strumentale di quello che è «un indicatore di attività dell’organo, non un marcatore tumorale». Precisazione doverosa, che lo scienziato rimarca a più riprese in «Il grande inganno sulla prostata», edito da Raffaele Cortina.
Dopo aver attaccato per anni l’uso massiccio che si fa oggi di questo test, usato come metodica di screening di popolazione negli Stati Uniti (ma non in Europa), Ablin ha deciso di mettere nero su bianco la storia di una proteina che nell’immaginario oggi evoca il più diffuso tumore maschile. L’identificazione del dosaggio del Psa come marcatore del tumore della prostata, secondo lo scienziato, è il frutto di un’attività clinica poco ortodossa portata avanti dai medici. Come risultato, s’è avuta la medicalizzazione di migliaia di uomini sottopostiti a interventi di asportazione della prostata pur in presenza di tumori indolenti che mai sarebbero progrediti né avrebbero raggiunto altre sedi. Ablin, nel libro, è molto esplicito. Il test del Psa, a suo avviso, ha prodotto un disastro di salute pubblica. Colui che lo ha scoperto non lo ritiene infatti un esame idoneo a diagnosticare il tumore della prostata e, soprattutto, non in grado di differenziare due tumori con prognosi opposte. Una persona che presenta valori di Psa bassi può avere un cancro pericoloso, così come un numero elevato non per forza indica una malattia dall’esito segnato. Una volte per tutte, dunque, Abllin chiarisce che il dosaggio del Psa non è in grado di rispondere alle preoccupazioni dell’uomo. Anche perché, se bastasse soltanto questo dato per fare una diagnosi, almeno sei over 60 su dieci dovrebbero considerarsi colpiti dalla malattia. Per essere precisi, si dice che un Psa è normale al di sotto dei 4 nanogrammi per millilitro, ma l’ottanta percento degli uomini che presenta un valore compreso tra 4 e 10 ha un aumento del volume della prostata che però è benigno. Così quattro persone su dieci che hanno un Psa inferiore a 4 sono comunque malate di tumore della prostata.
Il dramma è che nella maggior parte dei casi trattati chirurgicamente, quando i pazienti sono a un passo se non già entrati nella terza età, la maggior parte di essi ha un’evoluzione favorevole. Ciò vuol dire che la morte, prima o poi, arriverà. Ma a provocarla non sarà stato il tumore della prostata. Psa bocciato in toto, dunque? No, tutt'altro. Secondo Ablin sarebbe un'altra storia se gli urologi ripetessero il test a chi presenta fattori di rischio - come precedenti casi di tumore della prostata in famiglia - e lo facessero regolarmente per stabilire in quanto tempo i valori si raddoppiano. «Ma questo negli Stati Uniti non accade», asserisce lo scienziato, portando come riferimento la storia di un certo amico Joe, a cui viene asportata la prostata soltanto perché il Psa ha superato il valore di 4. Questo abuso di chirurgia, abbinato all'exploit fatto registrare dal Robot Da Vinci oltreoceano, sarebbe alla base di quella che Ablin considera una truffa sulla pelle dei pazienti. «Ho passato 35 anni a spiegare questo alla gente, ma sono in ballo troppi interessi economici. C’è chi guadagna con lo screening, chi con le visite urologiche, chi con gli interventi chirurgici. In questo modo, per guarire una persona, si fanno danni ad altre cinquanta che si ritrovano impotenti e incontinenti pur avendo una malattia che non li ucciderà mai».
IL GRANDE INGANNO SULLA PROSTATA
Richard Ablin
Raffaele Cortina Editore, 20,40 euro, 296 pagine
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Fabio Di Todaro
@fabioditodaro