Ricerca sui virus: ora o mai più
Covid-19 ci ricorda quanto sia importante fare ricerca sulle malattie infettive, nel pieno rispetto delle regole
Esplosa la pandemia di Covid-19, qualcuno si è posto la questione se Sars-CoV-2 fosse la tragica conseguenza di una fuga del virus da laboratori di ricerca. L’ipotesi complottista di una creazione volontaria del virus da parte qualche «folle scienziato» è stata subito archiviata dalle indagini sulla struttura genetica del virus. Ma si è aperto il fronte preoccupato di quanti si oppongono a quel genere di ricerca, considerata non conforme agli standard etici e pericolosa per il genere umano.
È vero che sperimentare su virus potenzialmente letali ha i suoi rischi, legati a inevitabili errori umani o a possibili abusi da parte di squinternati bioterroristi. Tuttavia, a conti fatti, i rischi sono di molto inferiori ai benefici. La ricerca, infatti, è fondamentale per capire i punti deboli di questi micro-organismi (il geniale fisico Richard Feynman soleva ripetere che per conoscere come funziona un meccanismo bisogna essere capaci di costruirlo); e serve per sapere dove vivono, quanto sono aggressivi e cosa fare per proteggerci.
Precondizioni ineludibili per ottimizzare il rapporto rischi/benefici sono alcune regole: lavorare in laboratori con livello di bio-sicurezza 4, cioè con il più alto indice di contenimento; disincentivare con gradualità certe abitudini alimentari o voluttuarie rischiose (vale anche per noi italiani); coinvolgere pazientemente il pubblico internazionale nelle scelte della ricerca scientifica, con trasparenza; costruire una rete di sorveglianza globale e una banca dati ecologica e genetica accessibili a tutti, il mezzo migliore per prevenire le pandemie (o per controllarle rapidamente se esplodono).