Morire in solitudine: la lezione del Covid-19
La pandemia ha riportato la morte fra noi, costringendoci a guardarla in faccia senza infingimenti
Si dice che il ‘900 abbia segnato la scomparsa della morte dal sentire comune, relegandola a evento che riguarda solo «gli altri» perché troppo offensiva per essere accettata come realtà. Difficile dar credito a una simile visione. Siamo d’accordo, parlarne non è mai stato appetitoso. Ma affermare che il genere umano sia oggi afflitto da un’allucinatoria negazione collettiva sembra azzardato. Se anche così fosse, la pandemia ha riportato brutalmente la morte fra noi, costringendoci a guardarla in faccia senza infingimenti.
Lei è viva, impazza, porta via senza discriminare, non molla la presa, sta lì, gigantesca, ci osserva, c’interroga su chi siamo, cosa facciamo e dove pensiamo di andare. Con una rapidità inaspettata, siamo stati travolti da decine di migliaia di cadaveri. Occultare la morte è diventato impossibile. I riti funebri sono stati cancellati, perché la priorità era salvare altre vite. La gente ha dovuto officiare da sola, ma dei riti non ha potuto fare a meno, perché le emozioni che sottendono sono scritte con un’identica grammatica.
Per ragioni profonde, legate alla nostra speciale neurobiologia, consideriamo un errore non poterci accomiatare da chi ci è stato accanto, amorevolmente, per una vita intera. E morire da soli è un insulto alla nostra dignità. Ecco perché la strage virale ha lasciato dietro sé il segno dell’incompiutezza. Cancellare i riti funebri, per chi resta, vuol dire non potersi sottrarre al caos che annulla ogni significato e stare sospesi in un sospiro inconcluso. Evidentemente dobbiamo dare forma concreta ai nostri lutti, perché non rimangano come fantasmi che non riusciamo a seppellire.
Siamo isole, ma per vivere in pace con le nostre solitudini abbiamo bisogno di contemplare il mare che ci circonda. Intanto la morte continua a saziare la sua ingordigia e nessuno ha il vaccino per immunizzarsi contro la sua falce: l’idea che non ci riguardi è insostenibile, il suo sguardo ci accompagna ovunque. E il Coronavirus l’ha ricordato ai distratti e ai presunti immortali.
Giorgio Macellari è chirurgo senologo, docente di Bioetica, scuola di specializzazione in chirurgia dell'Università di Parma