Covid-19 e la dignità degli anziani da rispettare
La maggior parte delle vittime è over 65. Basta questo per ridimensionare il dramma in corso?
«Ageism» è un termine non recente (risale al 1969) che potrebbe essere reso in italiano come «vecchismo», contrapposto al «giovanilismo» e veicolante un messaggio di discriminazione verso gli anziani, considerati inutili, zavorra sociale, cancellando con svilimento caricaturale la nobiltà dell’invecchiamento naturale.
La pandemia ha accentuato il problema, visto che la fascia d’età più colpita è proprio quella di chi è sopra i 65 anni. Un fatto che taluni hanno commentato con insidiose affermazioni del genere «tanto i vecchi debbono morire…», creando le premesse per un bieco - e inesistente - «dovere di andarsene». Quando le risorse scarseggiano, è giusto definire livelli di priorità. Ma questo non significa poter compromettere alcuni diritti umani basici, fra i quali quello di non essere discriminati in base a condizioni personali.
Per quanto sia facile lasciarsi convincere che i vecchi debbano avere minor diritto a prestazioni sanitarie di alta qualità, rispetto ai più giovani, tuttavia va affermato con forza che una società civile non può permettersi questa distinzione e deve invece obbedire all’imperativo morale di rispettare la dignità e l’autonomia dei vecchi. Gli anziani hanno lo stesso diritto alla salute dei giovani: non sono oggetti da rottamare, sono creature da proteggere. E le scelte sanitarie debbono considerare non solo l’età, ma anche la biografia, le aspettative, la vitalità.
Questo vuol dire inchinarsi alla medicina della persona, quell’arte di curare le creature umane ricordando che è impossibile farlo bene se non le si conosce nella loro profondità esistenziale.
Giorgio Macellari è chirurgo senologo, docente di Bioetica, scuola di specializzazione in chirurgia dell'Università di Parma