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È ora di dire addio alla parola «razza»

In momenti di crisi, si può trovare il coraggio per compiere questo passo. Come ha fatto la Germania

È ora di dire addio alla parola «razza»

La Germania ha deciso di varare una legge per abolire la parola «razza» dall’articolo 3 della Legge Fondamentale (Grundgesetz) ove si sostiene che nessun cittadino può essere discriminato (favorito o svantaggiato) «a causa della sua razza». La storica decisione, assunta dalla cancelliera Angela Merkel nel corso di un vertice di governo il lunedì 19 ottobre, impone anche all’Italia di tornare a confrontarsi tale questione. Perché mantenere dei riferimenti alla parola «razza» nei testi costituzionali, quando tale parola è oramai priva di reale significato?

  

La scienza, a questo riguardo, si è infatti già espressa in modo chiaro ed univoco. È impossibile, sotto il profilo biologico, identificare un individuo sulla base di qualsivoglia marcatore genetico e dunque categorizzare l’umanità in «razze». Per la scienza, quindi, oggi è semplicemente scorretto parlare di «razze umane». Da qui la proposta (già anticipata oltre un anno fa su queste colonne) di eliminare la parola «razza» da qualunque documento della Repubblica, a partire dall’articolo 3 della Costituzione.

 

Certo, tra gli individui della specie umana si possono osservare molte differenze fenotipiche quali il colore della pelle, il colore degli occhi, alcuni valori antropometrici (altezza e forma del cranio) ed altri ancora come pure differenze fisiologiche quali la suscettibilità a particolari malattie o la risposta a specifiche molecole a significato farmacologico. In passato, era comune pensare che queste differenze fossero sufficientemente «significative» - seppur basate su criteri approssimativi e imprecisi - da giustificare la convinzione che la specie umana fosse divisibile in gruppi omogenei, e cioè in «razze».

 

Tuttavia, nessuno di questi criteri pseudoscientifici, o di queste fasulle categorie naturalistiche, ha retto dinnanzi ad un’analisi critica da parte della biologia e della genetica di popolazioni. Oggi è infatti assodato che è impossibile categorizzare le popolazioni umane in «razze» data l’alta variabilità genetica di qualsiasi carattere (mono e poligenetici; quantitativi, antropometrici). Già in epoca pre-sequenziamento del genoma umano, l’esistenza delle razze umane era stata magistralmente smentita dai lavori di Luigi Luca Cavalli Sforza e Guido Barbujani. Se le razze esistono nei cani, per esempio, è perché negli ultimi due secoli l’uomo le ha prodotte per incroci selettivi: nell’uomo questo non è accaduto e non ve ne è stato neppure il tempo evolutivo necessario. Oggi, il sequenziamento del genoma umano ha dimostrato in termini inconfutabili l’unicità del genoma di qualsivoglia individuo: addirittura ciascuno di noi porta nel proprio genoma ancora un 1.7 per cento di Dna dell’uomo di Neanderthal.

 

È chiaro che la discriminazione di piccoli o grandi gruppi di individui ha preceduto storicamente l’invenzione scientifica della razza e persiste ancora ai nostri giorni. Inoltre, è chiaro che abolire la parola «razza» non significa certo abolire il razzismo. Un lungo percorso educativo non può però che iniziare basandosi sul fare chiarezza sul significato delle parole utilizzate. È quindi arrivato il momento di riconoscere che il termine «razza» non ha più alcun significato biologico, se in riferimento a eventi storici, e ha quindi perso ogni diritto di cittadinanza anche nei testi posti a fondamento della nostra convivenza civile e politica.

 

Non va dimenticato che il linguaggio crea senso, la lingua genera significati, e che continuare a utilizzare questo termine può essere dannoso poiché può incoraggiare atteggiamenti culturali discriminatori, come più volte è già accaduto anche all’interno del discorso politico. In Francia la parola razza è stata eliminata nel 2018, la Germania sta seguendo l’esempio, l’Italia ha il dovere di farlo. Negli ultimi anni diversi tentativi e proposte (Rickards-Biondi, Scotto, Destro Bisol, Anzaldi e altri ancora) hanno già aperto la discussione, raccogliendo autorevoli sostegni (come quello della senatrice a vita Liliana Segre).


Paradossalmente, è proprio nei momenti di crisi, come in quello attuale dovuto alla Covid-19, che si può trovare il coraggio per immaginare un paese nuovo dove la parola «razza umana» sia finalmente cancellata da qualunque atto ufficiale della Repubblica Italiana.

 

Per approfondire:

  • La Fondazione Umberto Veronesi nell’ottobre 2017 ha promosso un convegno «No razza, si cittadinanza» al quale hanno partecipato biologi, filosofi, linguisti e giurisperiti per esaminare i tanti risvolti legati all’iniziativa popolare per eliminare la parola razza dalla Costituzione.

  • Nel 2017 la rivista The Future of Science and Ethics a cura del Comitato Etico di Fondazione Veronesi ha ripubblicato l’appello lanciato dagli antropologi italiani lo stesso anno insieme ad alcuni commenti da parte di scienziati ed esperti

  • L’Accademia della Crusca, nella tornata del martedì 10 aprile 2018, ha discusso di questi contenuti

  • Manuela Monti e Carlo Alberto Redi: No razza, si cittadinanza. Ibis, Como, 2018 
  • Marco Annoni: Il dibattito italiano riguardo alla proposta di eliminare la parola «razza» dalla Costituzione Italiana tra biologia, bioetica e biopolitica. Quaderno di bioetica n. 15, Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica (CIRB), a cura di G. Attademo, C. Bianco, P. Giustiniani e F.Lucrezi, Mimesis, 2020 (in stampa)



Contributo a cura di Carlo Alberto Redi, Manuela Monti e Marco Annoni



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