Diritto all'oblio: finalmente una legge?
Una legge sul diritto all'oblio degli ex malati di cancro è necessaria. Ma non basta
di Giorgio Macellari*
Il cancro non è una malattia come le altre. Prima di tutto perché pone sul capo di chi riceve la diagnosi una concreta aspettativa di morte: per quanto oggi oltre la metà dei malati di cancro gli sopravvive, tuttavia l’associazione con la trista mietitrice è automatica, in questo avallata da un sentire comune tuttora ancorato all’obsoleta – e sbagliata – formula del “male incurabile”. Poi perché il cancro si porta appresso lo stigma sociale, con la metafora della sindrome “della cassetta di frutta avariata” che colpisce chi ne è afflitto, o con quella del “deserto dei Tartari” che gli fa terra bruciata intorno. Con la conseguenza di sequele perduranti, come ferite che non rimarginano e prolungano lo stato di malattia anche quando questa non c’è più.
È su questo scenario che va letta l’importantissima iniziativa del diritto all’oblio, il cui primo scopo è rimuovere il marchio a fuoco della malattia per evitare che al suo dolore organico si aggiunga quello “burocratico”, capace di discriminare fra chi è sano e chi era malato, erodendo – ad esempio – il diritto a un’uguale opportunità di stipulare un’assicurazione, ottenere un certificato medico per attività sportive professionali, accendere un mutuo o adottare un bambino. È un’insidia sottile, ma capace di compromettere un ruolo, incrinare un’identità, limitare ambizioni di carriera o semplicemente ludiche, proibire sogni, spezzare progetti di relazioni affettive e frenare pianificazioni centrate sulla famiglia.
Un problema non da poco, se lo si interfaccia con il dato macroscopico di oltre tre milioni e mezzo di italiani ex-ammalati di cancro, tenacemente vivi e ben intenzionati a investire al meglio il tempo della vita.
Ben venga dunque una normativa (è recentissimo il disegno di legge presentato dal CNEL**) che dia diritto, a chi ha superato il cancro da almeno 10 anni (5, nel caso di tumori insorti in età pediatrica o, più in generale, prima dei 21), di essere “dimenticato” dagli altri proprio per quel passato oncologico: poiché non può più danneggiare sul piano biologico, non deve nemmeno poterlo fare su quello psicologico e sociale. L’obiettivo della legge – in linea con quanto già avviene in Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Portogallo – è impedire che su chi ha avuto un cancro ricada l’obbligo di dichiararlo quando sottoscrive un accordo, stipula un contratto o richiede un certificato. In altre parole, si tratta di ridare a questi soggetti il diritto a una qualità di vita pari a quella che avevano prima di ammalarsi o a quella delle persone sane: un traguardo per nulla scontato, visto che, a parità di condizioni socio-demografiche, la differenza fra le due categorie di persone è documentata.
Nella fascia d’età che comprende adolescenti e giovani adulti – che riguarda soggetti almeno fino ai 29 anni, da alcune società mediche estesa ai 39 – la questione è ancora più delicata. Non soltanto perché si tratta di individui per varie ragioni più vulnerabili. Ma anche perché molti di loro tendono a condividere la propria condizione oncologica come possibile strumento per superarla meglio. Nel farlo, oggi adottano spesso le piattaforme mediatiche, dove le loro esternazioni possono sedimentare per lunghissimo tempo, sono difficili da rimuovere e talvolta vengono sfruttate per alimentare odiosi commenti denigratori. Si prospetta dunque un paradosso: se l’esternazione aveva una finalità di auto-terapia per metabolizzarne il lutto, il riscontro dell’informazione oncologica perdurante a distanza – talora incancellabile – mette l’ex-giovane nelle condizioni di pentirsene. E questo non può andare bene. Una ragione in più per favorire con la massima semplicità l’esercizio del diritto all’oblio.
Ma una normativa – per quanto sacrosanta – non basta. È anche necessario un passaggio culturale: al superamento individuale della malattia deve cioè accompagnarsi quello educativo generale, quello che nasce dallo sguardo altrui, ancora troppo spesso distorto da una connotazione compassionevole, vittimizzante e discriminatoria.
Un’ultima considerazione. Il diritto all’oblio non dovrebbe esitare in un diritto a dimenticarsi. Ci sono tumori (ad esempio alla mammella e alla prostata) che possono ripresentarsi anche dopo 20 anni oppure, per gli organi simmetrici, colpire successivamente quello sano (è ancora il caso della mammella). Senza contare che chi si è ammalato di cancro ha un rischio lievemente aumentato di averne un secondo. Ciò significa che se gli altri non debbono sapere, chi l’ha avuto non può dimenticarsene ed è bene che mantenga presente sullo sfondo l’impegno di un’appropriata sorveglianza di rito, specialmente dove è contemplata l’adesione a uno screening. Senza farne un’ossessione.
* Giorgio Macellari è Chirurgo Senologo, Dottore in Filosofia, membro del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi
**AGGIORNAMENTO: la legge sul diritto all'oblio oncologico in Italia è stata approvata in via definitiva il 5 dicembre 2023