Suicidio assistito e sedazione profonda: la storia di "Mario" e Fabio
Due vicende simili e diverse che raccontano il bisogno di una legge sul fine vita
Fabio e Federico ("Mario"), due persone che hanno scelto di non soffrire più e di anticipare la propria morte in modo medicalmente assistito, seguendo però due strade diverse. Continua, in questi giorni, il dibattito nel nostro Paese sul fine vita e sulla necessità di approvare al più presto una legge sull’eutanasia che permetta di mettere fine alla propria esistenza a chi non vuole più soffrire.
Attualmente, è bene ricordarlo, in Italia l’eutanasia è ancora illegale. Questo significa che non è ancora possibile chiedere a qualcun altro di procurare la propria morte, nemmeno in quei casi in cui una persona sia affetta da una malattia irreversibile o terminale e da sofferenze che giudica insopportabili e refrattarie a qualsiasi altro tipo di trattamento. Per chi si trova in queste condizioni, dunque, le “via di uscita” dal dolore e dalla sofferenza sono tre. La prima consiste nell’arrendersi e accettare la situazione corrente, sperando nell’approvazione di una legge in materia da parte della politica nel corso dei prossimi anni. La seconda alternativa consiste nel ricorrere all’eutanasia clandestina o a un atto di disobbedienza civile, e cioè chiedere e ottenere un atto di pietà da parte di qualcuno. Infine, l’ultima possibilità è di recarsi in un altro Paese dove è possibile chiedere e ricevere l’eutanasia. Quest’ultima, ad esempio, è stata la scelta di Fabio Antoniani, o Dj Fabo.
Anche se l’eutanasia in Italia non si può ancora ottenere in modo legale, tuttavia, esistono oggi altre strade per chiedere e anticipare in modo assistito la propria morte. La prima è ricorrere al suicidio medicalmente assistito. A differenza dell’eutanasia, con il suicidio medicalmente assistito è la persona stessa che lo chiede a darsi la morte, ad esempio ingerendo dei farmaci sotto la supervisione di personale specializzato, oppure premendo un bottone che inietta un farmaco in vena. È questa la strada che ha scelto oggi Federico Carboni, la prima persona che ha chiesto e ottenuto di ricorrere al suicidio medicalmente assistito in Italia.
Federico aveva 44 anni e da 12 era rimasto tetraplegico dal collo in giù a seguito di un incidente stradale. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Dj Fabo, che ha depenalizzato il reato di “omicidio del consenziente” – a patto che la persona che chiede di essere aiutata a morire sia (i) affetta da una condizione irreversibile, (ii) da sofferenze insopportabili e (iii) refrettarie, e (iv) capace di prendere decisioni autonome –, Federico aveva deciso di chiedere di poter essere aiutato a morire. Nonostante vi fossero tutti i presupposti clinici e legali per procedere, le istituzioni competenti hanno deciso di non decidere per molto tempo, costringendo Federico a condurre sotto lo pseudonimo di “Mario” una battaglia civile per vedere riconosciuto il suo diritto al suicidio medicalmente assistito. A Federico, negli ultimi giorni, è stato anche detto che avrebbe dovuto farsi carico delle spese per il macchinario che lo avrebbe aiutato a morire, il cui costo non sarebbe stato coperto dalle strutture sanitarie. Un ulteriore atto di mancanza di rispetto da parte delle istituzioni nei confronti di una persona che voleva solo rivendicare un suo diritto e che, per fortuna, ha motivato una serie di altri atti di generosità da parte di molti donatori che hanno organizzato una raccolta fondi, (coordinata dall'Associazione Luca Coscioni) per coprire le spese e acquistare il macchinario di cui Federico aveva bisogno. Il 16 giugno 2022, dopo ulteriori mesi di sofferenza, Federico ha potuto finalmente esaudire le sue volontà. È la prima persona, in Italia, che ha chiesto e ottenuto il suicidio medicalmente assistito.
Fabio Ricolfi, invece, ha scelto una strada diversa. Fabio aveva 46 anni ed era immobilizzato a letto da 18 a causa di una tetraparesi. Come Federico aveva chiesto di poter accedere al suicidio medicalmente assistito, ottenendo il “via libera” dal Comitato Etico competente. Il Comitato, però, non aveva specificato le procedure e il farmaco con cui Fabio avrebbe potuto portare a termine le proprie volontà. Di fronte alla prospettiva di dover aspettare ancora, e di dover comunque intraprendere una battaglia legale e mediatica, Fabio ha scelto invece una soluzione “di ripiego”, e cioè di chiedere la sedazione palliativa profonda e continua. Questo tipo di sedazione può essere chiesto quando le sofferenze di una persona non sono altrimenti controllabili, oppure quando si è nell’imminenza della morte. Nel caso di Fabio, la sedazione si è resa necessaria dopo la sua richiesta di essere staccato dalle macchine che lo tenevano in vita. In Italia, infatti, dopo la legge 219/2017, è un diritto di tutti quello di poter chiedere la sospensione di qualsiasi trattamento medico, compresi quei trattamenti di supporto vitale come l’idratazione, l’alimentazione e la ventilazione meccanica. In questi casi, per evitare che la persona soffra e muoia avvertendo i sintomi del soffocamento o dell’inedia, si ricorre alla sedazione palliativa profonda e continua, la quale serve per abbassare la soglia di coscienza sotto un certo limite, in modo molto simile a quanto avviene con l’anestesia totale prima di un intervento. A differenza dell’anestesia totale, però, la sedazione profonda viene mantenuta fino alla morte della persona. Dopo aver iniziato la sedazione profonda, Fabio si è spento dopo alcune ore: non rapidamente come avrebbe voluto, ma certamente prima di quanto gli sarebbe stato permesso se avesse dovuto aspettare il “via libera” per il suicidio medicalmente assistito.
Fabio e Federico, dunque, due persone e due modi diversi per affermare il proprio diritto a poter scegliere sulla propria vita e sulla propria morte, decidendo se e quando è arrivato il momento di smettere di sopportare il dolore e la sofferenza di una vita che non sentono più loro e che non desiderano più.
Purtroppo, in Italia, ci sono però tante altre persone che sono costrette a non poter scegliere perché non sono affette da patologie definite “irreversibili”, oppure perché non sono al momento collegate a delle macchine di supporto vitale e non possono quindi scegliere di rifiutare questi trattamenti per poi accedere alla sedazione profonda. Ecco perché serve subito una legge in Italia sul fine vita e sull’eutanasia. Perché il diritto a decidere liberamente per sé e per la propria vita deve valere per tutti. Forse, se esiste qualcosa di peggiore di una condizione di sofferenza giudicata insopportabile, questo qualcosa è proprio discriminare tra diversi tipi di sofferenza.