L'intelligenza artificiale sostituirà i medici?
Ancora troppi gli interrogativi senza risposta. Occorre ripensare la pratica clinica e la bioetica
Negli ultimi anni l'innovazione tecnologica ha trasformato le nostre vite. Internet, i social media e gli smartphone hanno già avuto un impatto considerevole, mentre le nuove tecnologie basate sui big-data e l’intelligenza artificiale sono solo agli inizi. L’impatto di questa rivoluzione tecnologica è incalcolabile, ma è facile ipotizzare che il mondo di domani sarà molto diverso da quello di oggi. Questo vale anche per la medicina.
Secondo alcuni esperti, esiste la concreta possibilità che entro il 2050 le macchine siano in grado di sostituire del tutto gli umani nello svolgere ogni genere di professione, compresa quella del medico. Altre previsioni, invece, sono meno drastiche. Uno studio, appena pubblicato, aggiunge un punto di vista importante finora assente da questo dibattito: quello dei medici. Tramite dei questionari mirati, i ricercatori hanno studiato le opinioni dei medici in Inghilterra rispetto al rischio di essere, un giorno, sostituiti da computer e algoritmi. I risultati rivelano come la comunità dei medici abbia delle idee contrastanti su questo tema. Secondo i risultati della ricerca, la maggioranza dei camici bianchi intervistati (61%) ritiene improbabile che la tecnologia possa sostituire completamente il medico, in particolare per quanto riguarda compiti come formulare delle diagnosi (68%), consigliare un consulto specialistico (61%), o offrire delle cure in modo empatico (94%). Tuttavia, circa la metà (53%) ritiene invece possibile che le macchine sostituiscano gli uomini in altre aree critiche - come la formulazione di prognosi - e che ciò avverrà nel corso dei prossimi dieci anni.
Indipendentemente da chi ha ragione, appare chiaro che, nei prossimi anni, sempre più decisioni cliniche saranno prese sulla base di algoritmi invece che sulla base dell’esperienza diretta del clinico. Questo scenario prospetta grandi opportunità, ma pone anche importanti domande etiche. Da una parte, infatti, l’intelligenza artificiale e i big-data possono rappresentare una risorsa preziosissima per medici e pazienti permettendo, per esempio, di consultare in pochi secondi tutta la letteratura scientifica esistente circa una data malattia o gli effetti collaterali di un farmaco. Dall'altra, invece, vi sono diversi interrogativi che al momento non hanno ancora una risposta.
Per esempio, di chi è la responsabilità se una prognosi formulata su base algoritmica si rivela poi del tutto errata? Dell’algoritmo, del programmatore, dell’azienda, o del medico? Per rispondere a questo genere di domande occorre ripensare non solo la pratica clinica, ma anche la bioetica e il biodiritto, così da garantire che l’uso futuro dell'intelligenza artificiale in medicina rappresenti un passo in avanti verso la difesa e la promozione della salute di tutti.