La maternità di domani
Diventare genitori grazie alla crioconservazione degli ovociti
Il 25 luglio 1978 è nata Louise Brown, la prima bambina concepita grazie alla fecondazione in vitro. Da allora, si stima che nel mondo siano oltre dieci milioni i bambini e le bambine nati grazie all’aiuto della medicina riproduttiva. Questo risultato lo si deve in gran parte ai progressi che la ricerca scientifica ha compiuto negli ultimi cinquant’anni, i quali hanno permesso di sviluppare tecniche di “procreazione medicalmente assistita” (o PMA) sempre più efficaci e sicure. In particolare, la conservazione pianificata degli ovociti rappresenta una delle frontiere più recenti e interessanti.
Questo insieme di tecniche permette alle donne di conservare i propri ovociti – e, dunque, la propria capacità riproduttiva – in previsione dell’impossibilità, un domani, di concepire un figlio a causa di una patologia, di un trauma, o del naturale declino della fertilità dovuto all’età. Le tecniche che si utilizzano sono relativamente note e considerate ormai “standard” e non più sperimentali.
Come funziona? Gli ovociti vengono prelevati dopo il ricorso a cicli di stimolazione ovarica per essere poi conservati a temperature molto basse (“criopreservati”) in apposite biobanche, dove possono rimanere per anni o anche decenni. Tramite la fecondazione in vitro, questi ovociti possono essere utilizzati insieme a un gamete maschile, – fresco o criopreservato, da partner o donatore – per creare un embrione da impiantare, con la speranza di portare a termine una gravidanza. Una donna può così concepire un figlio a lei geneticamente imparentato anche dopo essere diventata infertile.
La possibilità di conservare in modo pianificato i propri ovociti offre nuove e importanti opportunità riproduttive. Questo è vero, in primo luogo, per le donne che ricevono una diagnosi di tumore, o che soffrono di altre condizioni ereditarie o acquisite che sono incompatibili con il concepimento o la gravidanza. Grazie alla ricerca e ai progressi nelle terapie, infatti, la probabilità di essere in vita dopo cinque anni per una donna che riceve una diagnosi precoce di cancro al seno sfiora il 90%. Purtroppo, alcuni trattamenti come la radioterapia e la chemioterapia sono anche potenzialmente “gonadotossiche”, e cioè possono compromettere la fertilità. Per questo motivo, solo qualche anno fa, per una donna che riceveva una diagnosi di tumore in età fertile era difficile se non impossibile diventare madre. Oggi, invece, non è più così: dopo la diagnosi ma prima di ricevere i trattamenti, una donna può sottoporsi al prelievo degli ovociti per poi conservarli, mantenendo così la possibilità di diventare madre dopo la malattia. Oltre ai tumori, però, la conservazione degli ovociti può essere utile anche per le donne che soffrono di altre patologie che, sebbene non fatali, possono comunque ridurre la fertilità, come l’endometriosi.
Soprattutto, ed è forse questa la cosa più rilevante per il futuro della nostra società, grazie alle tecniche di conservazione degli ovociti una donna può decidere di salvare “oggi per domani” una parte della propria capacità riproduttiva anche in assenza di una diagnosi o patologia. Ad esempio, una donna può oggi scegliere di conservare i propri ovociti, e “proteggersi” così dal naturale declino della fertilità dovuto all’avanzare dell’età, nell’attesa del “partner giusto”, di completare un percorso di studi, di superare una fase critica per la propria carriera, di raggiungere una condizione di migliore equilibrio economico, professionale o personale o, semplicemente, per salvaguardare un eventuale desiderio di maternità nel futuro. Questa possibilità è piuttosto recente, ma i suoi effetti sulla società e sulle scelte delle persone cominciano già ad essere visibili.
Secondo uno studio recente, tra il 2019 e il 2021, negli Stati Uniti il ricorso a questa tecnica è aumentato del 39%. Questi numeri, è facile prevedere, sono destinati ad aumentare. La conservazione degli ovociti è già disponibile anche in Italia nei centri di PMA di secondo e terzo livello accreditati presso il Servizio Sanitario Nazionale e presso diverse strutture private, ed è accessibile sia per ragioni strettamente mediche che di altra natura. Naturalmente, come ogni tecnologia che interessa direttamente le scelte e la vita degli individui, anche la conservazione degli ovociti solleva una serie di domande etiche molto profonde e complesse. Quali sono i profili di sicurezza ed efficacia di queste tecniche? Quale impatto possono avere per l’autonomia riproduttiva delle donne, per le diseguaglianze tra i sessi e per le generazioni future? Per rispondere a queste e altre domande, il Comitato Etico della Fondazione Veronesi sta elaborando un nuovo parere dedicato ai profili etici della conservazione degli ovociti. Come ogni altro parere del Comitato, questo documento avrà il doppio scopo di informare la cittadinanza su un tema così importante e ancora poco conosciuto, e di offrire ai decisori politici una serie di raccomandazioni di indirizzo. Il testo, una volta pubblicato, sarà disponibile con gli altri nell’area download del sito di Fondazione Veronesi e sulle pagine della rivista The Future of Science and Ethics.