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Il dovere etico di uscire dal «Plasticene»

L’invasione della plastica richiede un impegno a tutela dell'ambiente. Il lavoro del comitato etico

Il dovere etico di uscire dal «Plasticene»

Negli ultimi 70 anni la produzione di materie plastiche è cresciuta in maniera esponenziale. La plastica è così diffusa che alcuni scienziati hanno cominciato a trovare un nuovo tipo di sedimenti nel terreno che permette di identificare con precisione una vera e propria nuova era geologica: il «Plasticene».

 

Si tratta di un materiale poco costoso, resistente, modellabile e per questo oggi utilizzato in un numero quasi incalcolabile di applicazioni. Proprio queste sue proprietà, però, rendono la plastica in grado di resistere molto a lungo nell’ambiente se non opportunamente raccolta e trattata. In particolare, visto che non è solubile in acqua, con il tempo la plastica tende a disgregarsi in particelle sempre più fini dette microplastiche o nanoplastiche, a seconda della grandezza. Questi frammenti sono a loro volta considerati degli inquinanti ambientali e sono stati ritrovati in una varietà di forme, dimensioni, composizioni chimiche e concentrazioni in pressoché tutti gli ambienti marini, agricoli, nell’atmosfera, nel cibo e nell’acqua potabile. Nonché nelle piante, negli insetti, negli animali e nell’uomo.

 

A oggi, le implicazioni per la salute umane e l’ambiente derivanti dalla diffusione delle microplastiche e delle nanoplastiche sono in larga parte ancora sconosciute. Gli scienziati hanno finora identificato diversi modi in cui questi materiali potrebbero interagire in modo negativo con la salute. Per esempio: o perché direttamente pericolosi o in quanto capaci di trasportare con sé all’interno del corpo altre sostanze pericolose. È stato ipotizzato che alcuni di questi frammenti possano agire come interferenti endocrini se presenti oltre una certa concentrazione, con alcune implicazioni per la salute umana. Attualmente, sono in corso diversi progetti di ricerca a livello internazionale per cercare di determinare con maggiore precisione quali siano i profili di rischio connessi a una costante esposizione alle micro e alle nanoplastiche.

In questo contesto, il comitato etico di Fondazione Umberto Veronesi è al lavoro per elaborare un nuovo documento proprio dedicato al tema del rapporto tra plastiche, salute umana e dell’ambiente. Oltre a nuovi e urgenti studi scientifici per colmare l’assenza di ricerche sulla possibile tossicità di questi materiali, infatti, è anche chiaro che occorre fare un passo in avanti, immaginando un rapporto molto diverso tra il progresso e il benessere delle società e gli ecosistemi. A partire dal problema della plastica e del ciclo dei rifiuti, per arrivare alle misure che sono ora necessarie per rimediare, almeno in parte, ai danni ambientali già causati, è urgente iniziare una conversazione pubblica capace di coinvolgere sia i decisori politici sia i singoli cittadini.

Se le scelte personali sono e saranno importanti, infatti, esse non possono però essere sufficienti in assenza di una rivoluzione altrettanto significativa a livello di politiche produttive e ambientali. Forse è tardi per evitare che nel futuro la nostra era sia ricordata come il «Plasticene». Tuttavia, una volta presa coscienza del problema, possiamo almeno cercare di far sì che tale strato di sedimenti sintetici rimanga il più sottile e limitato possibile.



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