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Seveso 1976, in un giorno d'estate

Era il 10 luglio all'ora di pranzo quando l'impianto di produzione di triclorofenolo entrò in avaria

Seveso 1976, in un giorno d'estate

Il disastro di Seveso è stato una delle più gravi catastrofi ambientali accadute in Italia, un avvenimento gravissimo, tanto da essere tuttora annoverato insieme a tragedie come quelle di Chernobyl nella ex URSS e Bhopal in India. Ma che cosa è successo esattamente quel giorno e quali le ripercussioni a distanza di decenni sulla salute e l’ambiente?

IL DISASTRO DI SEVESO

Un giorno d’estate intorno all’ora di pranzo, il 10 luglio, esattamente come oggi. L’anno, il 1976. Data tristemente nota per quel maledetto “disastro di Seveso”, nome con cui si ricorda l’incidente avvenuto nell’azienda ICMESA, acronimo di Industrie Chimiche Meda Società Azionaria. La ICMESA era un’industria chimica di proprietà della Givaudan, azienda svizzera che produce fragranze e profumi, rilevata nel 1963 dalla Roche, multinazionale farmaceutica svizzera. Verso le 12:38 di quel sabato, nello stabilimento ubicato nel territorio del comune di Meda al confine con Seveso, allora in provincia di Milano e oggi nella provincia di Monza e Brianza, il sistema di controllo del reattore chimico A101, destinato alla produzione di triclorofenolo, sostanza impiegata nella produzione di diserbanti, fungicidi e battericidi, andò in avaria. Il risultato fu un innalzamento incontrollabile della temperatura in grado di trasformare il triclorofenolo in TCDD (o 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-para-diossina) una diossina particolarmente tossica e sostanza che l'International Agency for Research on Cancer (IARC) classifica fra quelle cancerogene.

Il triclorofenolo subisce questa pericolosa trasformazione quando supera i 156 gradi centigradi e, quel giorno, la temperatura era di ben 500 gradi. L’elevata pressione raggiunta nel reattore causò lo scarico del contenuto tossico verso un sistema di sfogo. Il disco di rottura (dispositivo di sicurezza montato su respinti a pressione) non resse alla pressione ed esplose. Conseguente ne fu la dispersione nell’atmosfera.

La TCDD fuoriuscì nell'aria in quantità difficile da definire. Secondo le prime stime la fuoriuscita sarebbe stata di soli 300 grammi, oggi si pensa invece la quantità fosse esponenzialmente maggiore, intorno ai 15 o addirittura 30 chili. Quello che si vide immediatamente a occhio nudo fu invece una nube tossica, trasportata dal vento verso sud-est. I primi segni avvertiti dalla popolazione dei comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno, Limbiate e Desio, furono un odore pungente e forti infiammazioni agli occhi. Già dopo due giorni dall’incidente comparsero i primi casi di cloracne, una grave reazione cutanea di cui è documentata la correlazione con la diossina. Secondo i dati dell’ISS il numero di casi di cloracne è salito nel corso del tempo a 193. Ne sono stati coinvolti, in particolare, i bambini.

Per quanto possa sembrare incredibile però, la gravità del disastro non fu immediatamente percepita. Il sindaco di Seveso, il comune risultato poi più colpito, fu avvisato solo il giorno successivo e i prima danni erano stati ritenuti irrisori. Tanto che lunedì 12 luglio la fabbrica riaprì regolarmente e la produzione venne sospesa in un solo reparto. Nei giorni successivi la situazione si rivelò però più grave di quanto non avessero prospettato i responsabili dell’ICMESA: gli animali da cortile cominciarono a morire, l’erba diventò improvvisamente gialla, la corteccia si staccava dagli alberi e e le foglie si laceravano. Un imprevisto film dell’orrore.

La certezza di dispersione di TCDD venne confermata solo il 14 luglio da analisi effettuate da Givaudan presso i propri laboratori con sede a Dubendorf, senza informare però le autorità italiane. Il 15 luglio i sindaci di Seveso e Meda, dietro consiglio di ufficiali sanitari locali, comunque agirono emettendo ordinanze per proibire di toccare ortaggi, terreno e animali domestici. Chiesero inoltre di adottare una scrupolosa igiene nel lavaggio delle mani e successivamente venne ordinato di non ingerire prodotti di origine animale provenienti dalla zona inquinata. Solo dopo sette giorni la notizia apparve sui giornali.

Il 19 luglio Givaudan ammise la presenza di diossina nella nube tossica e il 21 luglio venne confermata dal Laboratorio provinciale di igiene e profilassi. Il territorio di Seveso a ridosso dell’ICMESA fu quindi suddiviso in zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di diossina nel suolo. Furono identificate e delimitate tre aree in base alla presenza di TCDD misurato nel suolo: zona A, con concentrazioni molto elevate, zona B più ampia e meno inquinata di A, e zona R, o “di rispetto”, dove la contaminazione era minore e sparsa, a macchie. Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono suddivise in ulteriori sotto-zone A1-A5.

Il 24 luglio, con due rispettive ordinanze, i comuni di Seveso e Meda ordinarono l’evacuazione entro il 26 luglio della zona A, inizialmente estesa per circa 15 ettari ma successivamente espansa a più riprese. Complessivamente tra il 26 luglio e il 2 agosto vennero evacuati 676 cittadini di Seveso e 60 di Meda, che vennero provvisoriamente collocati in due hotel nel milanese. La maggior parte di loro sarebbero rientrati nelle loro case bonificate tra l’ottobre e il dicembre del 1977, mentre 41 famiglie non poterono tornare perché le loro case vennero distrutte. Sarebbero state ricostruite negli anni seguenti.

Nell’area più inquinata, il terreno fu asportato e depositato in vasche; fu poi collocato un nuovo terreno ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco naturale Bosco delle Querce (nella foto, credits Massimiliano Mariani, CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons). Il 2 luglio 2021, a 45 anni di distanza dal disastro, il sindaco di Seveso, Luca Allievi, ha dato le dimissioni “per la cattiva gestione delle vasche di percolato contenenti i liquami con diossina nel Bosco delle Querce”. Ha parlato di “omissione di controlli e zone d’ombra nel monitoraggio sulle vasche stesse”.

E LA SALUTE?

Per valutare l’impatto sulla salute della diossina e la mortalità a legata al distratto di Seveso sono stati realizzati vari studi nel corso del tempo, i cui dati sono stati raccolti dall’ISS. Il primo copre gli anni fino al 1986, il secondo fino al 1991, il terzo arriva fino al 1996 e il quarto, che al momento è il più aggiornato, fino al 2001: copre quindi un periodo di 25 anni ed è stato condotto sulla popolazione esposta alla diossina (divisa in zona A, zona B e zona R a seconda del grado di contaminazione della zona di abitazione) e su una popolazione di riferimento non esposta.

Il programma di monitoraggio ha coinvolto circa 280.000 persone nell’area brianzola, di cui quasi 6.000 residenti nelle aree più colpite. La ricerca ha preso in esame il 99% di tutti i soggetti coinvolti. In base ai dati più recenti, il risultato più significativo riguarda l’incremento nelle zone più inquinate di neoplasie del tessuto linfatico ed emopoietico, in particolare per le donne: nella zona A (quella immediatamente intorno al luogo dell’incidente) il rate ratio (il numero di volte in più o in meno che un evento/malattia si verifichi in un gruppo rispetto ad un altro) è di 3,17, e nella zona B (quella più vasta intorno alla zona A) di 1,94. Il dato più alto riguarda i linfomi non-Hodgkin nella zona A (rate ratio di 4,45), mentre nella zona B il rate ratio per tutti i linfomi è di 2,14 e per i mielomi di 3,07. Fra gli uomini, l’unico dato in eccesso significativo riguarda la mortalità per leucemie, con un rate ratio di 2,07 nella zona B.

Gli effetti dell’incidente di Seveso però non si limitano ai tumori: nelle zone A e B sono stati osservati anche incrementi della mortalità per malattie circolatorie nei primi anni dopo l’incidente, di malattie croniche ostruttive dei polmoni e di diabete mellito fra le donne. Lo studio quindi conferma il rischio tossico e carcinogenico dell’esposizione a TCDD nell’uomo.

In particolare, un lavoro del 2017, dal titolo Gli impatti sulla salute a lungo termine dell’incidente di Seveso, condottò dall’Università degli Studi di Milano – Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità e IRCCS Fondazione Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano ha ulteriormente indagato gli effetti sulla salute nel lungo periodo, mettendone in evidenza il rapporto causa-effetto. Sono stati nello specifico condotti studi di lungo periodo su mortalità e incidenza di tumori nei residenti delle tre zone definite a contaminazione decrescente sulla base delle analisi compiute nel terreno: zona A, la più inquinata con circa 800 residenti; zona B, meno inquinata con quasi 6.000 residenti; zona R con oltre 30.000 residenti e inquinamento minore e meno diffuso. I risultati delle popolazioni residenti nelle zone inquinate sono stati posti a confronto con quelli della popolazione di undici comuni circostanti (oltre 200.000 persone) non interessati dall’inquinamento da TCDD.

Nelle zone esposte, nel corso dei quarant’anni successivi all’incidente, non si è osservato aumento né della mortalità complessivadell’incidenza di tumori totali. All’indagine di incidenza, l’insieme dei tumori ha mostrato invece un aumento in un gruppo selezionato di donne delle zone A e B (circa 900 persone) per le quali erano disponibili le misurazioni di diossina nel plasma che mostravano valori molto elevati. L’indagine su tutta la popolazione delle diverse zone ha messo in luce un aumento delle neoplasie ematologiche (leucemie e linfomi) nei primi trent’ anni di osservazione in zona A e B, con 66 casi osservati contro 44 attesi (rischio relativo, RR =1,5); trascorsi trent’anni, non si sono osservati ulteriori incrementi. Suggerimenti di un aumentato rischio di tumore alla mammella nelle zone più contaminate non sono risultati del tutto coerenti e non hanno trovato conferma in altri studi. Tra i maschi si è osservato in alcuni periodi post-incidente un incremento di tumori al colon-retto in zona A e B, ma l’associazione con esposizione a diossina non è definita.

Nel primo decennio post-incidente si è notato un aumento della mortalità per malattie cardiocircolatorie nella zona A, soprattutto tra i maschi (RR=1,6): potrebbe trattarsi di un effetto legato alla diossina, ma congiuntamente (o forse prevalentemente) anche delle conseguenze della pesantissime condizioni di stress sofferte da quella popolazione. La frequenza di diabete è risultata elevata, con un andamento non coerente, tuttavia, per esposizione e per sesso. I risultati di un sospetto incremento di tumori di mammella e colon- retto, oltre a quello di diabete, sono importanti anche da un punto di vista di prevenzione secondaria: si tratta infatti di patologie per le quali esistono screening di provata efficacia offerti gratuitamente dal servizio sanitario nazionale. L’incremento di neoplasie linfo-emopoietiche trova conferma in precedenti studi di popolazioni accidentalmente esposte a TCDD e sembra documentare un effetto legato a esposizione a TCDD.

LA “DIRETTIVA SEVESO”

Il disastro di Seveso ha spinto l’Unione Europea a pensare a una politica comune per prevenire e affrontare i grandi rischi industriali. Si è arrivati così all’approvazione della cosiddetta “direttiva Seveso”, (Direttiva Europea 82/501/CEE, recepita in Italia con il DPR 17 maggio 1988, n. 175 nella sua prima versione) che impone agli stati membri di identificare i propri siti a rischio. Più volte aggiornata negli anni, la normativa è diventata, via via, sempre più precisa e articolata prendendo non solo all’obbligo da parte di tutti gli Stati membri di identificare e censire i propri siti a rischio, ma anche di elaborare un piano di prevenzione ed emergenza e informare correttamente i cittadini che abitano nelle zone limitrofe. Attualmente in Europa è in vigore la Direttiva Seveso III, recepita in Italia nel 2015 con il Decreto Legislativo numero 105. La Direttiva Seveso si applica quindi agli stabilimenti caratterizzati dalla presenza di sostanze o miscele pericolose in quantità superiori ai limiti consentiti.



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