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Quale ruolo per i virus vegetali in medicina?

Rilevato per la prima volta il potenziale terapeutico dei virus vegetali contro due malattie autoimmuni

Quale ruolo per i virus vegetali in medicina?

Dai papiri medici egizi di 3.500 anni fa agli scritti di greci come Ippocrate o romani come Celso, le piante medicinali sono state la palestra di alcuni principi dell’attuale farmacopea. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ricorda che una pianta medicinale è un organismo vegetale che contiene in uno dei suoi organi sostanze che possono essere utilizzate a fini terapeutici o che costituiscono i precursori dei farmaci. Attualmente, sono circa 7.000 i composti chimici presenti nelle piante usati nella farmacologia moderna.

 

Ma non basta, le piante hanno anche un’ulteriore dote: sono profondamente diverse da un animale come l’uomo e per questo un patogeno vegetale non è un patogeno animale. In questi giorni stiamo mangiando delle ottime pesche: contengono spesso milioni di virus vegetali. Ci consigliano spesso di mangiare Brassicacee (cavoli, verze, broccoli, rape) perché contengono un noto principio anti-tumorale, ma spesso hanno anche milioni di virus del mosaico del cavolfiore. Ma i virus vegetali non sono un problema alimentare per noi che continuiamo a cibarci dei frutti e ortaggi che loro colonizzano. Le piante quindi sono un eccellente sistema per selezionare e produrre farmaci utili per noi, riducendo i rischi di farli produrre in animali a sangue caldo che potrebbero avere patogeni attivi anche sugli esseri umani.

 

È proprio basandosi su questi concetti che la professoressa Linda Avesani (docente di genetica agraria dell’Università di Verona) ha da poco pubblicato sulla rivista Science Advances dati molto promettenti sull’utilizzo terapeutico dei virus vegetali per contrastare alcune malattie autoimmuni. Coordinando un gruppo di ricerca composto da genetisti agrari, biochimici, microbiologi ed endocrinologi italiani e inglesi, Avesani ha dimostrato che, attraverso la somministrazione di virus vegetali ingegnerizzati a modelli murini, è possibile prevenire il diabete autoimmune (di tipo 1) e trattare l’artrite reumatoide. Un risultato rincorso e ricercato per quasi vent’anni (clicca qui per leggere la pubblicazione). I virus vegetali sono, in realtà, assimilabili a nanomateriali di origine biologica, in quanto costituiti da particelle proteiche, strutturalmente stabili, che si assemblano all’interno delle cellule vegetali.

 

Nella ricerca appena pubblicata, gli involucri proteici sono stati istruiti geneticamente per esporre sulle loro superfici i peptidi protettivi associati alle malattie autoimmuni, al fine di scatenare un meccanismo terapeutico noto come induzione di tolleranza. Grazie alla loro particolare struttura, i virus vegetali sono in grado di presentare all’organismo umano i peptidi immunogenici e al tempo stesso funzionare da adiuvanti nello stimolare la risposta immunitaria, cosa che non avviene somministrando i peptidi da soli. Questa strategia, che si avvale della elevata ripetitività e abbondanza delle particelle virali nelle piante, permette di ottenere elevati livelli di protezione dalle malattie a costi contenuti e garantisce sicurezza di impiego in quanto i virus utilizzati non sono patogeni per l’uomo.

 

Quindi dei virus vegetali riprogrammati per curare l’uomo e privati di ogni loro capacità di riprodursi. Dei virus usati come una struttura di sostegno modulare in cui allocare molecole o farmaci utili all’uomo. Non tutti i virus, quindi, vengono per nuocere. Naturalmente questo studio preclinico non è un punto di arrivo, ma necessita di poter proseguire e dimostrare di essere efficace anche al di là del modello murino. Per questo, prima ancora degli indispensabili finanziamenti, servono fiducia, sinergie e un sistema che premi i grandi avanzamenti delle conoscenze e le loro possibili applicazioni anche se questi avanzamenti sono coordinati e realizzati in Italia. Anzi, a maggior ragione, dovremmo riconoscere e investire sul rilancio che la nostra ricerca scientifica pubblica può dare alla ripartenza dell’intero Paese generando innovazioni di prodotto e non solo piccole innovazioni di processo. 



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