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Un camice bianco e trenta denari

Se una falsa oncologa uccide la fiducia dei pazienti e le speranze di cura di un bambino

Un camice bianco e trenta denari

Fatico davvero a pensare a qualcosa di più ignobile di quanto rivelato dalle indagini condotte a Roma su una falsa oncologa che avrebbe prescritto dietro lauto compenso – farmaci oncologici o altre cure per pazienti, anche pediatrici, che si rivolgevano a lei, convinti che si trattasse di un medico titolato e con un'esperienza maturata all'interno di una delle eccellenze italiane per la cura dei tumori infantili.

E' il rovescio della medaglia. Quello della reputazione basata sulla verità e dell'alleanza medico-paziente è una specie di mio chiodo fisso. Eppure, questo episodio offre il suo esatto opposto: il gioco perverso di chi approfitta della reputazione di una struttura e la piega ai propri interessi venali, con l'aggravante di mettere a repentaglio la salute e la vita delle persone bisognose di cure.

La stampa non dice quale sia la struttura verso cui la sedicente oncologa (che pare non risulti nemmeno iscritta all'Ordine dei medici) vantasse una appartenenza, ma a Roma di ospedali pediatrici ce n'è solo uno e avendovi speso un quarto della mia vita come capo della comunicazione, ben conosco l'appeal e la fiducia che ispirava verso le famiglie alle prese con un problema di salute. In passato sono stati numerosi gli episodi di persone che attivavano fasulle campagne di solidarietà e di richiesta di contributi economici col pretesto di aiutare bambini malati o sostenere attività umanitarie, smascherate e consegnate alla giustizia.

Qui però non si tratta di farsi beffa della fiducia delle persone mostrando documenti falsificati, si tratta di compromettere l'esito di diagnosi e terapie per dei mali che necessitano di interventi tempestivi e competenti.

Pare che il castello di carte (false, anzi, falsificate) sia crollato grazie alla madre di un paziente che ha verificato sul web le modalità di somministrazione di un farmaco antitumorale, pagato a caro prezzo direttamente alla dottoressa. E bene ha fatto. Secondo uno studio dell'Università “La Sapienza di Roma” dello scorso mese di novembre, l'83% degli italiani  che cerca informazioni sulla salute in rete, cerca notizie su patologie, il 66% sulle possibilità di cura, il 44% su farmaci prescritti dal medico (come la madre del bambino che avrebbe fatto scattare le indagini).

Totò e Peppino hanno fatto ridere intere generazioni con i loro raggiri e le loro messinscena per sottrarre denaro a fiduciosi malcapitati. Ma questo episodio, non ha proprio niente di comico. Da nessuna angolazione lo si guardi. Per la cristianità siamo in tempo di Pasqua ed è difficile non associare il lucro sul dolore di un bambino al tintinnio di trenta denari.

Ma come fare a evitare che si ripetano episodi del genere? Anzitutto, facendo tesoro di quanto si è fatto e si sta facendo in materia di trasparenza. Se devo affidare a qualcuno le sorti di quanto ho di più caro - che sia la salute di un congiunto o la guida di un Paese - pretendo, pretendo (non è una ripetizione involontaria, è che proprio non ho alcuna intenzione di negoziare), di conoscere il massimo dettaglio sulla persona che dovrà farlo. E non mi fido di attestati e pergamene appesi alle pareti, vado oltre, verifico, controllo, mi informo. Sono garantista fino al midollo ma, qualora le accuse dovessero essere confermate, diventa davvero difficile pensare a una pena che possa essere nel contempo sufficientemente severa ed adeguata a una società democratica.



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