L'amore ai tempi del tumore
La cura degli affetti è parte stessa della cura. Un dovere per le Asl e per chi combatte un cancro
“Così pensava a lui senza volerlo, e quanto più pensava a lui più le veniva rabbia, e quanto più le veniva rabbia tanto più pensava a lui, finché non fu qualcosa di così insopportabile che le travolse la ragione”.
Rubo a Gabriel Garcìa Marquez le prime righe di uno dei libri che più amo e che meglio sa raccontare l'amore. Le prime righe di “L'amore ai tempi del colera” potrebbero essere, a ragione, anche le prime righe di “L'amore ai tempi del tumore”. Sono anni che Umberto Veronesi sostiene che "Non è difficile togliere un tumore dal seno di una donna. Il difficile è toglierlo dalla testa". Mi scrivono di frequente donne e uomini che parlano di un tumore chiamandolo semplicemente “lui”. Un terzo incomodo, ingombrante e infestante nella testa, anche quando, dopo completa guarigione, diventa un “ex”.
Quante donne, e quanti uomini, vivono in questo momento l'oltraggio feroce di un pensiero “ammalato” che non lascia spazio alle lusinghe romantiche del vero bene, di uno slancio, fosse anche effimero, di un progetto, di una visione che fa di due soggetti una prima persona plurale: noi. Quante persone, impegnate nella lotta contro un cancro, derubricano l'amore a qualcosa da tenere fuori dalla propria testa, dicendosi che è poco importante, come tutto ciò di cui abbiamo paura. Quante persone, impegnate nella lotta contro un cancro, si ostinano a cercare di tenere fuori i propri affetti profondi dal corpo a corpo ingaggiato contro di “lui”.
L'assistenza psicologica e il conforto degli affetti è parte stessa della cura. Ma, mentre sul primo fronte, le Regioni e le Asl agiscono o ignorano in maniera disarticolata e spesso sorda, malgrado la documentata efficacia scientifica e la necessità sociale del supporto a chi è impegnato nello sconfiggere un tumore, sul secondo fronte, l'impegno va assunto in prima persona. Imparare a volersi bene significa anche lasciarsi voler bene.
Il disegno del futuro acquista più colore se tratteggiato a quattro mani. Ed è anche per questo che la ricerca e la cura – già più volte raccontata in questo sito – sono impegnate nel predisporre protocolli per spalancare a una donna che si trova a combattere e a vincere un tumore, la prospettiva di poter vivere con pienezza la gioia della maternità.
Il conforto del proprio compagno o della propria compagna, per una donna o per un uomo, con una donna o con un uomo, rende la battaglia meno ardua e la vittoria più vicina.
Un'occasione persa per una persona - impegnata in un processo di cura – tenere fuori dalla porta qualcuno che, al di là dei cambiamenti del corpo, dell'umore, del modo stesso di vedere e di vedersi, la vede semplicemente per quel che è: “così abbagliante da sembrare l'unica in mezzo alla folla” e “così bella, così seducente, così diversa dalla gente comune, che non capiva perché nessuno rimanesse frastornato come lui al rumore ritmico dei suoi tacchi sul selciato della via, né si sconvolgessero i cuori con l'aria dei sospiri dei suoi falpalà, né impazzissero tutti d'amore al vento della sua treccia, al volo delle sue mani, all'oro del suo ridere”.
Un uomo o una donna innamorati, proprio non riescono ad abitare la distanza, talvolta imposta dal partner che ha ricevuto una diagnosi di cancro, la dilata per difesa, per paura, per presunzione di riuscire da solo o per preteso altruismo nel non voler accollare su un altro il proprio calvario.
Ezio Bosso, il pianista che al Festival di Sanremo ha emozionato il pubblico con le sue note e la sua autoironia, ha evidenziato il grande rischio che spesso si accompagna all'esperienza di una malattia importante: “Il timore è che la paura paralizzi. E questo vale per tutti”.
“Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte altre volte a partorirsi da sé” scrive Garcìa Marquez. Uno dei momenti in cui partorirsi da sé è all'indomani di una diagnosi impegnativa come quelle in campo oncologico o di patologie croniche o degenerative con cui imparare a convivere.
Un'occasione di ripartenza per chi, come la protagonista di “L'amore ai tempi del colera”, “aveva sentito un'urgenza irresistibile di ricominciare da capo la vita con lui per dirsi tutto quello che non si erano detti, e di rifare bene qualsiasi cosa avessero fatto male nel passato”.
Anche perché, l'impegno globale contro i tumori e i successi della medicina nel renderli curabili e superabili in una proporzione sempre crescente, malgrado le ignobili disparità di opportunità di cura e di diagnosi precoce lungo lo Stivale, rende una diagnosi oncologica e la conseguente cura uno degli eventi della vita e non il suo culmine.
Conforta in quest'ottica la considerazione di Firmina, la protagonista amata una vita intera da Florentino Ariza, nata dal genio di Marquez: “nulla a questo mondo era più difficile dell'amore”.
Marco Magheri
@marcomagheri