I ticket sono una cosa bellissima
Venticinque anni la sua introduzione: per molti rimane un fastidioso balzello, ma si tratta di uno strumento per arginare l'arrembaggio del mondo assicurativo al nostro sistema sanitario
Era una domenica di ottobre del 2007 quando l'allora Ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, noto a tutti per essere un esagitato facinoroso e un pericoloso sovversivo, rovinò la pennichella domenicale agli italiani. Sembrava una dichiarazione di guerra: «Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute». Un esercito di evasori e furbetti si sentiì aggredito.
In tv scatena meno scalpore chi bestemmia rispetto a chi fa una provocazione bella e buona, per giunta in un periodo di vacche grasse, quando ancora non sapevamo che saremmo piombati nella crisi mediatico-finanziaria che conosciamo, fatta di titoli tossici in banca e titoloni indigesti sui giornali. Oggi, nel 2014, peccando certo di originalità, dico: «I ticket sono una cosa bellissima». Ma ancor di più lo sono la lotta all'evasione fiscale, ai falsi invalidi, agli sprechi e alla corruzione. E le due cose sono tra loro collegate.
Nella Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, perla dello sfarzo barocco, sono conservate le suppellettili di Giuseppe Moscati, medico napoletano, canonizzato nel 1987. La sua stanza da letto, la poltrona e lo studio medico: una libreria, lo scrittoio e un tavolino basso con sopra un cappello e un cartoncino con una scritta: «Chi ha dia, chi non ha prenda». Era la sua maniera di ridurre le sperequazioni tra facoltosi partenopei e i loro concittadini poverissimi, un ammortizzatore sociale ante litteram.
Quest'anno si celebrano le nozze d'argento degli italiani con il ticket. Era il 1989 quando venne introdotta per la prima volta questa forma di compartecipazione dei cittadini al costo delle prestazioni sanitarie che avrebbe trovato una sua organica definizione nel 1993 con la legge 537.
Nel corso del tempo, il ticket sanitario, da strumento di responsabilizzazione dei cittadini - mirato soprattutto a disincentivare gli eccessivi consumi di farmaci e prestazioni mediche (e dell'improprio ricorso alle cure in pronto soccorso) - è diventato sempre di più, a livello regionale, una voce rilevante per ripianare i disavanzi derivanti da sprechi, sottrazioni di denaro pubblico e malgoverno. Una deriva che ha reso i ticket ancor più odiosi perchè da strumento perequativo e deterrente li ha trasformati in una gabella.
Il Presidente della Regione Lombardia ha di recente dichiarato «Dal 2015 voglio cancellare i ticket sanitari, ci sono leggi nazionali che ce lo impongono, ma io voglio negoziare con il Governo». Evviva! Peccato che la prospettiva non sembra realistica. Anzitutto perché sull'intero Servizio Sanitario Nazionale grava un'ipoteca che l'Ispe - Sanità, l'Istituto per la promozione dell'etica in sanità, ha calcolato in 23 miliardi di euro l'anno fatti di ruberie, negligenze, inefficienze e sprechi in campo sanitario. Il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha annunciato che potranno essere risparmiati dieci miliardi in tre anni. E ha annunciato che il ticket - che nel 2012 ha pesato per circa 900 euro su ogni famiglia - sarà rimodulato in base al reddito, anche per i pazienti con patologie croniche che oggi sono invece esentati.
Nell'attesa che su tutto il territorio nazionale - e non a macchia di leopardo in funzione delle scelte delle singole Giunte Regionali - si possano eliminare balzelli e altre forme di compartecipazione ai costi sanitari, il ticket - assieme a una concreta politica di lotta agli sprechi, alle duplicazioni dei servizi, alle corruttele e all'assenza di trasparenza - rimane lo strumento più solidale e democratico per arginare l'arrembaggio del mondo assicurativo al nostro sistema sanitario universalistico. Non si tratta di una demonizzazione nei confronti di una realtà importante e utile delle nostre vite, purché però non diventino da strumento di sussidiarietà, un soggetto alternativo e soverchiante il sistema sanitario universalistico italiano.
E, si badi bene, tenere le assicurazioni il più lontano possibile dall'ingerenza nei confronti del Sistema sanitario nazionale significa non solo difendere il diritto dei cittadini alla salute sancito dalla nostra Carta Costituzionale, ma vuol dire anche difendere la professionalità, la dignità e la deontologia della professione medica e dei professionisti sanitari. Un approccio di mercato alla salute inevitabilmente porterebbe con sé la logica dell'economia di mercato con la negoziazione del costo delle prestazioni sanitarie, evidentemente computate con il solo parametro quantitativo. Un gioco al ribasso sulle spalle della salute dei cittadini.
Mi auguro di aver persuaso quasi tutti che i ticket siano una cosa bellissima. I pochi diffidenti cronici dovranno almeno convenire che ad oggi, sono il male minore.
Marco Magheri
@marcomagheri