Binge drinking: predire o non predire, questo è il dilemma
Più che proibire gli eccessi, i giovani dovrebbero essere aiutati a non consumare mai qualunque quantità di bevande alcoliche fino ai 25 anni
Giorni fa numerose mamme (e anche qualche papà) mi hanno scritto per sapere di un test di cui avevano sentito parlare attraverso i media e avevano letto su internet. Su Nature un gruppo di ricercatori ha pubblicato i risultati di uno studio che ha seguito per alcuni anni un gruppo di giovani “arruolandoli” a 14 anni e “studiandoli” sino all’età di 19, analizzando in dettaglio, in particolare all’età di 16 anni, le abitudini di consumo alcolico insieme ad una serie di variabili derivate dallo studio del cervello esaminato attraverso risonanze magnetiche e una batteria di test della durata complessiva di circa dieci ore di valutazione clinica. Un impegno non da poco sia per il medico che per i ragazzi di cui si voleva tentare di scoprire le variabili capace di influenzare la propensione a perseguire forme di intossicazione episodica ricorrente da alcol (il binge drinking). Con l’espressione binge drinking si fa riferimento all’abitudine di consumare quantità eccessive - convenzionalmente sei o più bicchieri di bevande alcoliche anche diverse - in una singola occasione. Questo comportamento è presente prevalentemente nei Paesi del nord Europa, ma si è fortemente radicato anche nel nostro Paese in particolar modo nella fascia giovanile della popolazione, “contaminando” anche le generazioni di adulti e anziani, prevalentemente di sesso maschile.
L’interessante ricerca pubblicata su Nature ha dimostrato come nel 70% dei casi si possibile predire a 14 anni la probabilità di diventare da “grandi” un o una binge-drinker. Certo, non è un giochetto: dieci ore di test e tutta la parte di neuroimaging hanno costi e richiedono risorse sicuramente necessarie ed importanti per la prevenzione ma probabilmente non il top da un punto vista di costo-efficacia. Le valutazioni relative al binge drinking non possono non esulare dall’analisi del differente impatto che questa abitudine ha in relazione alle differenze di età e di genere. Il picco registrabile per i maschi nella classe di età 18-24 è sintomatico di una fase oltre la quale un modello di consumo meno rischioso riesce a farsi strada anche a fronte delle modifiche delle bevande alcoliche prevalenti di riferimento.
Per le ragazze la questione è differente e per certi versi anche più preoccupante in funzione del picco di teen-agers che si ubriacano registrato precocemente intorno ai 16-17 anni sino al 2006 e solo di recente spostatosi intorno ai 18-24 anni, quasi a suggerire che le binge drinkers delle generazioni precedenti abbiano mantenuto tali abitudini facendo “traslare” la curva nel tempo. Qualunque sia la motivazione del fenomeno, ciò indica anche che almeno sino all’uscita dal periodo di formazione universitaria e all’ingresso nel contesto lavorativo dovrebbero essere garantite iniziative concrete di prevenzione di entrambi i sessi in particolare nei luoghi di aggregazione giovanile e nelle serate in cui è evidente che tali episodi risultano più frequenti.
Per tutti vale una considerazione: chi usa bevande alcoliche nel periodo che va dai 2 ai 25 anni circa deve fare i conti con un periodo di elevata vulnerabilità dello sviluppo del cervello. È noto che il completo sviluppo del sistema limbico (emozioni, gratificazione, piacere) e della corteccia prefrontale (deputato alla pianificazione, alla razionalità e alla logica) avviene non prima dei 25 anni. Prendiamo un ragazzo di 12 anni. Le caratteristiche del cervello sono tali da conservare ancora prevalente una modalità emotiva di comportamento e di apprendimento ben lontana da quella razionale dell’adulto. Sono le connessioni con le parti laterale del cervello a determinare questa spiccata capacità di emozionarsi, di meravigliarsi ma anche di reagire con impulsività o al contrario con un rinchiudersi in se stesso agli stimoli esterni. Caratteristiche che si perdono a mano a mano che la materia grigia si rimodella e con essa le connessioni che vengono ottimizzate e ridotte (si parla di “potatura” delle sinapsi tra i neuroni) con uno sviluppo prevalente dei collegamenti con la corteccia cerebrale prefrontale, quella attraverso cui la razionalità diventa prevalente e che fa rimpiangere il “fanciullo” e le sue emozioni.
I comportamenti si fanno più responsabili, si percepisce meglio il rischio, si rischia di meno. L'alcol consumato tra i 12 e i 25 anni interferisce con il rimodellamento delle "sinapsi" cerebrali la cui organizzazione rimane cristallizata alla fase di sviluppo antecedente all’uso di alcol e/o di sostanze. Il ragazzo o la ragazza che bevono in adolescenza e soprattutto quelle che fanno il “binge drinking” manterrà da adulto una modalità di ragionamento prevalentemente infantile, o manifesterà più frequentemente depressione o aggressività (tipico degli adolescenti) nei comportamenti (espressione del sistema limbico) piuttosto che razionalità tipica di un regolare sviluppo cerebrale negli adulti e della prevalenza dell’azione della corteccia prefrontale che fa “sapiens” l’individuo. Alla luce di queste considerazioni non sarebbe mai da trascurare l’approccio che deve rivolgere a tutti i consumatori l’invito alla moderazione e alla svalorizzazione di modelli di promozione delle bevande alcoliche che mettono agevolmente nelle disponibilità di tutti i consumatori quantità di alcol fisiologicamente non sopportabili dall’organismo in funzione della concentrazione nel tempo di consumazione e che favorisce, senza alcun limite o regolamentazione, l’acquisto di quantità doppie o triple di alcol allo stesso prezzo unitario previsto dalla vendita.
Happy hours, pubs crawl, drink as much as you can, il butellon sono i fenomeni che si sono imposti nel consumo, non solo giovanile, per strategie di marketing che hanno richiesto in diverse realtà comunali l’adozione di ordinanze che tuttavia non scoraggiano il nomadismo giovanile creando ulteriori problemi in termini di sicurezza individuale e collettiva (alcol e guida, alcol e violenza, bullismo, criminalità ecc.). Dei colleghi ricercatori invidio risorse e mezzi che in Italia non ci è dato neppure di sperare per la consueta miopia di chi dovrebbe vedere nella ricerca un investimento e non un costo.
Non mi affascina particolarmente l’approccio di predizione del binge drinking anche considerato che i giovani dovrebbero essere aiutati a non bere mai qualunque quantità di bevande alcoliche che in Italia sono vietate in vendita e somministrazione sino alla maggior età. Non credo che predire sia più importante che vigilare. I genitori dovrebbero più spesso “annusare” i propri figli piuttosto che riporre nella scienza una spesso tardiva consapevolezza che c’è un rischio alcol correlato da contrastare. Parliamo di più e beviamo e facciamo bere di meno, ne guadagneremo in salute tutti e ridurremo l’impatto sociale e sanitario di un comportamento troppo normalizzato e troppo spesso ingannevolmente promosso come salutare.
Emanuele Scafato
@scafato