Siamo tutti parenti: l’eredità dell’evoluzione nella scienza e nella cultura
Da Milano a Lipari passando per Trieste, Febbraio è stato il mese per celebrare Charles Darwin e la teoria dell’evoluzione, che suscita ancora dibattiti dopo più di 150 anni
Il mese che si è appena concluso è ormai per tradizione dedicato, nel mondo della scienza e della divulgazione, alle celebrazioni in onore di Charles Darwin, lo scienziato naturalista inglese nato il 12 febbraio del 1809 e padre della teoria dell’evoluzione, che ha cambiato per sempre non solo la scienza ma l’intero pensiero filosofico.
Ma cosa avrà di tanto rivoluzionario la teoria dell’evoluzione per suscitare ancora accesi dibattiti a distanza di oltre 150 anni, da quando Charles Darwin pubblicò la prima edizione de L’Origine delle Specie nel 1859?
Va subito precisato che ad oggi, la comunità scientifica mondiale è compatta nel ritenere l’evoluzione un fatto scientifico, suffragata da una gran numero di prove che spaziano dall’antropologia alla biologia molecolare. Tra gli esperti, si dibatte ancora su alcune delle modalità con cui l’evoluzione agisce, ma non è assolutamente messa in dubbio come forza che ha guidato e guiderà in futuro lo sviluppo della vita sulla Terra.
Sono certi settori della società e dell’opinione pubblica che, al contrario, ancora contestano la validità scientifica dell’evoluzione, nonostante le innumerevoli prove empiriche a suo sostegno. Ma perché? Le ragioni sono molteplici, ma sicuramente una delle principali è che Charles Darwin, e tutti gli studiosi che dopo di lui hanno contribuito a fare della teoria dell’evoluzione una realtà scientifica, ha riscritto completamente il ruolo della specie umana nel regno vivente. Ha brutalmente tirato giù Homo Sapiens dal piedistallo al centro del regno dei viventi sul quale era comodamente seduto da migliaia di anni. E si sa, a nessuno piace essere ridimensionato.
Grazie all’evoluzione infatti, adesso sappiamo che tutti gli esseri viventi sul pianeta sono fra loro imparentati, e se potessimo idealmente percorrere a ritroso il percorso dell’evoluzione, come fa il biologo britannico Richard Dawkins nel libro Il Racconto dell’Antenato, incontreremmo via via tutte le altre specie viventi, prima i mammiferi, poi gli altri vertebrati fino a riunirci con le piante e addirittura con i batteri, e terminare il nostro viaggio all’antenato universale, ovvero la prima cellula da cui si è evoluta e diversificata la vita attraverso i meccanismi di mutazione e selezione naturale.
Una delle prove più solide della parentela fra tutte le specie viventi è infatti la stessa molecola della vita, il DNA; dagli esseri umani ai pesci, dalle piante ai più piccoli virus e batteri, tutti utilizziamo lo stesso sistema per trasmettere le informazioni genetiche e lo leggiamo con la stessa corrispondenza tra DNA e proteine. Questo fenomeno viene chiamato universalità del codice genetico. Ecco quindi che noi esseri umani condividiamo il 30% del DNA con Saccharomyces cerevisiae, un organismo unicellulare meglio noto come lievito di birra, il 50% con le piante e il 90% con i topi.
La condivisione della sequenza del DNA non è l’unica similitudine che ci lega agli altri esseri viventi: anche le modalità di funzionamento del nostro corpo, dalla semplice divisione delle cellule alle dinamiche del sistema nervoso, è simile per molti aspetti a quello che avviene in altri specie, tanto più simile quanto più una specie è “imparentata” strettamente con noi.
Questa è anche la ragione per cui, in laboratorio, è possibile studiare i fenomeni biologici con un alto grado di precisione in organismi modello; a seconda del quesito biologico a cui si vuole rispondere viene di volta in volta scelto il modello più adeguato. Ad esempio, il lievito è usato per studiare il ciclo cellulare e i danni al DNA, il pesce zebra per capire come avviene lo sviluppo embrionale e i topi sono un ottimo modello per comprendere lo sviluppo di molte malattie umane.
La teoria dell’evoluzione ci ha obbligato a fare i conti con l’idea che l’essere umano è solo uno dei tanti “risultati” dell’evoluzione della vita, al pari di tutte le altre specie; proprio per questo, ci ha anche lasciato un’importantissima eredità culturale: l’umiltà di accettare che nella grande lotteria della sopravvivenza ogni essere vivente, dal più piccolo organismo unicellulare a un premio Nobel, ha pescato lo stesso biglietto vincente.
E, ultimo ma non meno importante, la visione evoluzionistica ci restituisce, a mio parere, un senso di meraviglioso, ciò che gli anglosassoni chiamano “sense of wonder”, di fronte alla straordinaria complessità e fragilità delle specie viventi; per dirla con le parole che lo stesso Charles Darwin scrisse nell’ultimo paragrafo de L’Origine delle Specie:
C’è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita che si è evoluta e si evolve da inizi così semplici, fino a creare forme bellissime e meravigliose.