Scienza e ricerca assenti dai programmi dei candidati Premier
Lo scenario italiano racconta un Paese non ancora pronto per porre la ricerca in primo piano nell'agenda politica
Il 20 febbraio scorso un editoriale di Nature, la rivista scientifica più prestigiosa al mondo, lanciava l’allarme: la ricerca italiana versa in condizioni disperate, gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo risultano in caduta libera dal 2008 e un sistema farraginoso e vecchio non valorizza il merito. In effetti, a partire dalla crisi del 2008, la spesa dell’Italia in ricerca e sviluppo, già bassa, è diminuita del venti per cento, cioè di 1,2 miliardi di euro, e nel 2016 ammontava a soli 8,7 miliardi. Nello stesso periodo il budget a disposizione delle università si è ridotto di un quinto: raggiungendo la quota di sette miliardi di euro. Si spiega (anche) così l'emorragia di talenti e cervelli a cui l’Italia assiste da anni, non soltanto in ambito scientifico. Nello scorso mese di ottobre, la Fondazione Migrantes ha valutato in 124mila gli italiani emigrati nel 2016, di cui cinquantamila circa nella fascia di età compresa tra 18 e 34 anni.
Oggi gli italiani residenti all’estero sono cinque milioni e fra di loro ci sono moltissimi giovani con altro profilo di specializzazione: come laurea o dottorato di ricerca. Oggi l’Italia esporta molti più ricercatori, dopo essersi accollata il costo sociale della loro formazione scolastica e professionale (nonostante tutto, ancora di alto livello), di quanto non riesca ad attirarne. Scarsità di risorse economiche, modalità di assunzione accademiche complicate e «baronistiche» e una burocrazia paralizzante sono i grandi problemi del sistema «ricerca Italia», che finora non è stato in grado di ammodernarsi. Eppure - verrebbe da dire paradossalmente - gli scienziati italiani sono tra i migliori al mondo in termini di produzione scientifica. Dal 2005, l’Italia ha aumentato il suo peso nel dieci per cento di lavori più citati al mondo: è al terzo posto, dietro Stati Uniti e Regno Unito. E pubblica più articoli per voce di spesa in ricerca e sviluppo rispetto a qualsiasi altro paese dell’Unione europea, a eccezione dell’Inghilterra. Dalle pagine di Nature è stato lanciato un appello alla politica italiana: aumentare i fondi, valorizzare maggiormente il valore e il lavoro degli scienziati e l’importanza del metodo scientifico, riportare al centro del dibattito pubblico le tematiche scientifiche che in Italia, eccezion fatta per la questione vaccinale, trovano raramente spazio.
Le elezioni sono alle porte, ma quali sono i programmi e le proposte dei vari partiti? Il denominatore comune è che la scienza è, di nuovo, rimasta esclusa da ogni discussione, eccezion fatta per la questione legata ai vaccini, dove però si è fatto fatica a distinguere i fatti dalla pseudoscienza e dalla manipolazione ideologica a fini elettorali della complessa questione dell’obbligo, introdotta nel 2017 dal Ministero della salute Beatrice Lorenzin. «Dibattito Scienza», associazione nata come gruppo Facebook con l’obiettivo di portare in pubblico la discussione scientifica, si è presa la briga, come fatto per le precedenti elezioni politiche ed europee, di contattare tutte le liste candidate e porre dieci domande sui temi della scienza e della ricerca: dalla medicina alle politiche energetiche, dalle questioni legate all’agricoltura all’impatto ambientale. I partiti hanno avuto sei settimane di tempo per consegnare le loro risposte. Allo scadere del termine del 16 febbraio, avevano risposto solo cinque liste: Più Europa, Partito Comunista, Movimento 5 Stelle, PRI-ALA e 10 volte meglio. Tra le forze politiche maggiori, solo il Movimento Cinque Stelle s'è esposto nei tempi stabiliti, anche se solo a tre domande su dieci. In ritardo sulla scadenza sono arrivate anche le risposte del Partito Democratico, di Liberi e Uguali e della lista Potere al Popolo. Spicca per la grande assenza di riscontro tutto il Centrodestra. Le risposte integrali sono consultabili sul sito di «Dibattito Scienza».
Già dalle risposte, o non risposte, è possibile intravedere uno spaccato di come verranno affrontate le questioni scientifiche qualora i rispettivi partiti dovessero andare al Governo. Ruggero De Maria, Presidente dell’IIGM-Italian Institute for Genomic Medicine di Torino e di Alleanza Contro il Cancro, in un post sul suo profilo Facebook ha messo in evidenza i passaggi del programmi ufficiali dei partiti in tema di politiche della ricerca e della scienza. Come nell’assenza di risposte alle domande di «Dibattito Scienza», anche nei contenuti programmatici il centrodestra non menziona la ricerca: a eccezione di un vago e poco indicativo passaggio sull’Università, «per farla tornare piattaforma primaria della formazione». Nella coalizione che fa capo al Partito Democratico, il programma di Civica di Beatrice Lorenzin sostiene che «è necessario in particolare che la ricerca sanitaria sia considerata come un vero e proprio investimento». Il programma di +Europa con Emma Bonino è quello più vicino ai ricercatori, almeno sulla carta. Le proposte più interessanti e concrete sono: finanziare la ricerca con criteri competitivi e destinare alla ricerca il tre per cento del Pil nel contesto di un’Unione Europea che partecipi per un terzo, con fondi comunitari, alla spesa complessiva per la ricerca in Europa. Il Pd avanza varie proposte tra cui «un piano di reclutamento strutturale e continuativo di diecimila ricercatori di tipo B nei prossimi cinque anni», di «valorizzare i ricercatori soprattutto sulle malattie rare» e «rendere stabile e strutturale il credito di imposta alla ricerca e sviluppo». Si propone inoltre di «aumentare ulteriormente il fondo ordinario per l’università» e di «realizzare a Napoli un centro di ricerca internazionale, ispirato al modello Human Technopole di Milano».
Liberi e Uguali propone invece di «aumentare in modo considerevole gli investimenti pubblici nella ricerca e nell’innovazione rappresentata dalle tante giovani imprese, così che facciano da traino agli investimenti privati anch’essi non sufficienti nel nostro Paese». Il programma più lungo sembrerebbe quello del Movimento 5 Stelle: reintrodurre i ricercatori a tempo indeterminato e abrogare i ricercatori a tempo determinato di tipo A e B; introdurre la timbratura obbligatoria per i professori con sanzioni pecuniarie e disciplinari; reintrodurre il reclutamento nazionale dei professori; introdurre il dottorato industriale; aumentare il finanziamento ordinario delle università in base ad alcuni parametri, quali «il successo dei propri laureati sia nell'ambito della ricerca che nel mondo del lavoro», «la diminuzione della percentuale dei docenti di ruolo improduttivi negli ultimi quattro anni» e la «localizzazione in aree depresse». Sicuramente buone intenzioni, ma non si fa riferimento a due aspetti critici: l’implementazione di un programma strutturato di «tenure track» (procedura attraverso la quale un ricercatore universitario assunto con contratto a termine può essere confermato a tempo indeterminato, se in grado di dimostrare un'adeguata attività di ricerca) e un sistema competitivo di finanziamenti.
Questo è, in sintesi, il panorama della considerazione della scienza e della ricerca nelle agende dei candidarti a governare l’Italia. Umberto Veronesi ha sempre sostenuto che la scienza e il metodo con cui la stessa opera rappresentano una forza primaria di progresso economico e sociale e di democratizzazione della società. Aspetti che sono poi stati posti alla base delle attività della sua Fondazione. Il quattro marzo l’Italia andrà alle urne per eleggere i prossimi rappresentanti politici, dalle cui scelte dipenderà il futuro del paese nei prossimi anni. L’augurio - come ricercatori, scienziati e cittadini - è che chiunque uscirà vincitore, si ricordi che le questioni scientifiche non sono solo un vezzo per pochi appassionati, ma uno strumento fondamentale per lo sviluppo del paese.