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La sindrome dell’apprendista stregone: perché la scienza a volte fa paura

L’abbiamo più volte detto in questo blog: questi sono tempi duri per le relazioni tra scienza e società

La sindrome dell’apprendista stregone: perché la scienza a volte fa paura

L’abbiamo più volte detto in questo blog: questi sono tempi duri per le relazioni tra scienza e società. Le motivazioni che hanno trasformato il dialogo civile in un campo di battaglia sono molteplici e complesse, e non bastano certo poche righe per analizzarle tutte. Alcune sono figlie dei nostri tempi e del particolare momento storico, come il senso di generale sfiducia verso le istituzioni che pervade ogni ambito della società e non risparmia il mondo della scienza. Altre sono di natura istintiva, come la naturale diffidenza verso ciò che è complesso e non di immediata comprensione.

Ma esistono anche delle motivazioni ben più profonde, che affondano le radici nella stessa natura umana; tre grossi sedimenti antichi, tre “archetipi” di carattere “mitico”. Non per niente, li ritroviamo  trasversalmente nel mito e nella cultura di tutti i secoli; per ritrovarli ai nostri giorni basta andare al cinema o leggere un qualunque romanzo di science-fiction. Stiamo parlando dei dilemmi del frutto proibito, dell’apprendista stregone e del Golem.

Queste parole sicuramente evocano in ognuno di noi immagini immediate e nitide: la mela, l’apprendista sconsiderato, una pericolosa creatura alla “Frankestein”.Ma in cosa consistono e come influenzano, più o meno consciamente, la nostra percezione della scienza e dell’innovazione?

Dei tre archetipi, il frutto proibito è sicuramente quello più conosciuto; impossibile non pensare subito alla narrazione biblica di Adamo ed Eva, cacciati dall’Eden per avere osato mangiare il frutto dell’albero della conoscenza che li rende simili a Dio. Varianti di questo mito si trovano in tutte le culture. Il frutto proibito rappresenta la paura della conoscenza di per se, la ribellione al divino e la perdita dell’ ‘innocenza’, con tutte le conseguenze, soprattutto negative, che la cacciata dal paradiso terrestre comporta.

L’apprendista stregone incarna invece la paura legata alla perdita di controllo della conoscenza e della tecnologia. Chi non ricorda il celebre cortometraggio di Fantasia, in cui Walt Disney fa vestire a Topolino i panni di un apprendista inesperto che, cercando di emulare il suo maestro, perde completamente il controllo delle sue “creature” causando un notevole scompiglio. La conoscenza del mondo consente di manipolarlo per i nostri scopi: è un grande potere ma, per citare un altro famoso film, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. La gestione della conoscenza e delle sue applicazioni richiede saggezza e ponderazione; quando ciò non avviene, gli esiti possono anche essere drammatici. La storia recente ahimè ci insegna che questo può accadere, con conseguenze catastrofiche; pensiamo ad esempio al disastro nucleare su Fukushima, in Giappone.

Il terzo “archetipo” è quello del Golem; il nome deriva da una parola ebraica e significa “materia grezza”. Il Golem è una creatura di argilla, senz’anima, ma che viene “tenuta in vita” dalla magia degli uomini. Rappresenta il più grande dei tabù connessi con la conoscenza scientifica: il superamento del confine tra materia vivente e non vivente, la trasformazione degli esseri viventi e la capacità di chi detiene la conoscenza, come il dottor Frankestein di Mary Shelley, di dare la vita a corpi inanimati. E per chi pensa che questa sia ancora fantascienza, nel 2010 il biologo Craig Venter, tra i primi a sequenziare il genoma umano, ha pubblicato sulla rivista Science la nascita di Synthia, il primo microorganismo “costruito” in laboratorio, a partire da una cellula del batterio Micoplasma nel quale è stato inserito del DNA assemblato artificialmente.

Questi tre “archetipi” sono indissolubilmente legati alla nostra natura umana: sono la parte più restia e diffidente nei confronti di tutto quello che è nuovo, di tutto quello che la scienza e la conoscenza producono. Essi sono parte integrante della percezione collettiva della scienza nella società e la influenzano. Dimenticarli quando si parla di progresso scientifico è un errore; anzi, permettono di tenere sempre vigile lo spirito critico e di non cadere in eccessivi entusiasmi di fronte alle possibilità aperte dalle nuove scoperte. Ascoltare la loro “vocina interiore” è utile per evitare derive scientiste e guidare la scienza in modo etico e responsabile. Tuttavia, queste “paure ancestrali” non devono prendere il sopravvento, diventando il pretesto di tanti atteggiamenti anti-scientifici e irrazionali; non dimentichiamo infatti che la scienza ha al suo interno, nel metodo scientifico, le armi per il suo stesso controllo.



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