Frodi scientifiche: per evitarle la ricerca deve essere integra e responsabile
Frodi ed errori accadono anche nella scienza: la Dichiarazione di Singapore sull’Integrità della Ricerca traccia le linee guida che dovrebbero indirizzare il lavoro dei ricercatori.
Quando si parla di risultati scientifici, anche nel linguaggio comune, si da per scontato che siano delle “verità” ormai assodate: quante volte, infatti, si utilizza l’espressione “scientificamente dimostrato” per fugare ogni dubbi circa la veridicità di qualcosa. Ma è davvero sempre così? Tutto quello che è pubblicato in una rivista scientifica, anche la più seria, è sempre tutto vero e obiettivo? La risposta è NO. Dipende se una data ricerca è stata condotta in maniera integra e rigorosa.
Se la Scienza, intesa come conoscenza sul mondo che ci circonda, è infatti obiettiva e super partes per definizione, lo stesso non si può sempre dire degli scienziati. La ricerca scientifica è un’attività umana e, come tale, può essere soggetta a errori in buona fede, ma anche manipolazioni quando non vere e proprie frodi.
Le “retraction”, ovvero i casi in cui una rivista scientifica ritira ufficialmente un articolo precedentemente pubblicato perché rivelatosi inattendibile, quando non falso, sono molto più frequenti di quanto si possa immaginare. Molto famoso, perché giunto alla ribalta anche delle cronache non specialistiche, fu il caso del ricercatore coreano Hwang Woo-Suk: nel 2004 e 2005 pubblicò due articoli su Science in cui affermava di essere riuscito a ottenere in vitro cellule umane embrionale per clonazione, attraverso la tecnica del trasferimento nucleare da cellula somatica. Un anno dopo, i due articoli furono ritirati perché fu appurato che la maggior parte dei dati presenti negli articoli erano stati fabbricati ad hoc. Hwang Woo-Suk fu accusato di frode scientifica e licenziato dalla Seoul National University, dove lavorava.
Secondo il Retraction Watch, un blog che si occupa di censire tutte le retraction di articoli scientifici pubblicati, nel 2013 sono stati 511 gli articoli ritirati. Negli ultimi anni, si è assistito a un’impennata del fenomeno: il Journal of Medical Ethics ha pubblicato uno studio in cui emerge che le ragioni delle retraction sono un mix di condotta fraudolenta, superficialità nella conduzione delle indagini e onesti errori scientifici.
Significa che gli scienziati stanno diventando disonesti? La realtà è più complessa: sicuramente il fatto che ora gli articoli sono tutti online e sotto gli occhi di migliaia di scienziati in tutto il mondo rende più facile identificare eventuali errori, anche quelli commessi in buona fede. Ma vi sono anche ragioni più subdole; il mondo della ricerca è sempre più competitivo: la possibilità di reperire fondi e la stessa carriera di uno scienziato viene misurata sul numero di articoli pubblicati su riviste di alto profilo. La corsa alla pubblicazione è talmente ardua che spinge talvolta alcuni ricercatori, per fortuna sempre una minoranza, a omettere o manipolare dati che contrastano con le ipotesi o, nei casi peggiori, crearli ad hoc.
Questo fenomeno è un grave danno per la scienza, perché apporta informazioni e conoscenza fallace, influenzando negativamente anche il lavoro successivo del resto della comunità scientifica che prende per veri dei dati parziali o erronei.
La conoscenza scientifica dipende dal rigore e dall’integrità con cui gli scienziati la conducono. Per questi motivi, la comunità internazionale ha sentito la necessità di elaborare un “codice deontologico” della professione di scienziato: la Dichiarazione di Singapore sull’Integrità della Ricerca, elaborata durante la Seconda Conferenza Mondiale sull’Integrità della Ricerca e pubblicata il 22 settembre 2010.
Già nell’introduzione alla Dichiarazione si chiarisce un concetto fondamentale: il valore e i benefici della ricerca dipendono in modo vitale dalla integrità della ricerca stessa. Se da un lato possono esistere, ed esistono, differenze disciplinari e nazionali nel modo in cui la ricerca è amministrata e condotta, dall’altro esistono principi e responsabilità professionali che sono fondamentali per la integrità della ricerca ovunque questa sia intrapresa.
Secondo la Dichiarazione, sono quattro dunque i principi che devono diventare parte integrante dell’attività di ogni scienziato:
Onestà in ogni aspetto della ricerca.
Responsabilità nella conduzione della ricerca.
Cortesia professionale ed equità nel lavorare con altri.
Buona gestione della ricerca nell’interesse di terzi.
Il tema della responsabilità viene poi ulteriormente sviluppato in diversi punti (qui è possibile leggere la traduzione italiana del testo completo) e riguarda i metodi di ricerca, la paternità delle pubblicazioni, la correttezza durante il processo di peer-review, l’onestà intellettuale nel riconoscere il lavoro dei colleghi, la segnalazione di condotte irresponsabili di cui si viene a conoscenza e ultimo, ma non meno importante, il dovere etico di soppesare i benefici e i costi per la collettività inerenti al proprio lavoro.
Perché un documento come la Dichiarazione di Singapore è così importante? Perché rappresenta la consapevolezza che il lavoro di scienziati e ricercatori, pur garantendo la libertà di ricerca, debba essere guidato da un’ “etica professionale” volta a tutale la validità dei risultati del proprio lavoro e la loro utilità per la collettività intera.
Concludo citando le parole della Professoressa Cinzia Caporale, docente di Bioetica all'Università di Roma La Sapienza e Presidente del Comitato Etico della Fondazione Veronesi «Scienza ed etica non possono essere mai disgiunti; il progresso dell’umanità è portato avanti solo quando la scienza e etica si integrano». Anche, e soprattutto, nel lavoro quotidiano dei ricercatori.