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Servono ancora maestri per insegnare a fare bene il medico?

In un'epoca costellata dalla malasanità e dalla ricerca sfrenata del profitto, occorre recuperare quei valori che fanno della disciplina una vocazione

Servono ancora maestri per insegnare a fare bene il medico?

C’era un professore della facoltà di medicina che, oltre a fare  lezione in aula, riteneva il "giro” quotidiano in reparto un dovere imprescindibile. Si sedeva di fianco al letto del  malato, si faceva raccontare dall’assistente la sua storia, interloquiva con lui mettendolo a suo agio e poi lo visitava. Esempio non solo di scienza, ma di  grande umanità e di attenzione nei confronti di chi, ricoverato, oltre alla tecnica vuole il “cuore”. Il professore non mi conosceva personalmente, ero un semplice studente interno dell’istituto di patologia medica (allora si chiamava cosi), forse mi aveva salutato qualche volta nei corridoi. Ciò nonostante  è stato per me la figura del vero maestro, un uomo da imitare quando fossi diventato medico, un esempio di come ci si deve rapportare  al malato, di come non si deve solo insegnare in aula, ma anche nella prassi.               

Servono ancora gli esempi nell’era della medicina tecnologica? Serve ancora avere comportamenti virtuosi da imitare? Serve ancora testimoniare che un medico è completo se unisce tecnica e umanità? Serve ancora precisare che bisogna dare tempo al malato e dare lui la possibilità di aprirsi? Servono ancora, in un periodo in cui il successo  economico sembra essere l’obiettivo principale, docenti e primari virtuosi che insegnano con il loro comportamento, nelle università e negli ospedali, a giovani medici e studenti,  che onestà, correttezza professionale, attenzione al malato e ai suoi bisogni, sono determinanti per fare bene il proprio lavoro? Servono tutte queste cose soprattutto in questo periodo in cui si parla di malasanità, di gente che ruba, di dirigenti disonesti, di malati che non si sentono sufficientemente capiti, di strutture che guardano più al budget che al paziente, che spingono gli operatori più a fare fatturato che ad avere un comportamento virtuoso, di strutture che non fanno il loro dovere fino in fondo? Certamente sì!

Purtroppo al giorno d’oggi molti  sono i cattivi maestri e le figure da imitare si trovano a fatica! Essere figure di riferimento significa non solo dare nozioni, ma anche dimostrare un impegno personale per migliorare ciò che non va nel sistema sanitario, magari anche solo nelle piccole cose ma che per il paziente rappresentano grandi vantaggi: a volte basta una parola per spiegare e tranquillizzare i malati in lista di attesa! Chi ha la responsabilità di formare e di dirigere deve riflettere su ciò, rivedendo magari, se necessario, un modo di operare che tempo e consuetudine hanno appannato, ma che rivisitato, può testimoniare il senso di una nobile vocazione.                                                                                                      

Alberto Scanni  



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