Il bisogno di essere rassicurati
Alle domande spasmodiche di un malato di tumore, occorre sempre fornire una risposta. Essere disponibili non vuol dire non essere autorevoli: l'esempio di Umberto Veronesi
Voler sapere che tutto è a posto, che si è realmente guariti, che la metastasi si può curare, che un esame del sangue sballato può non voler dire nulla, che la chirurgia può portare via tutto, che tutto è stato portato via, che la malattia può essere cronicizzata, che anche se si ricade si può ancora guarire, che si può tornare a una vita normale, sono solo alcune delle domande spasmodiche che il malato di tumore fa e sulle quali vuole essere rassicurato.
La sua fragilità è enorme e qui si vede l’abilità dell’oncologo. Gianni Bonadonna, in un suo libro dal titolo “Medici umani, pazienti guerrieri”, sostiene che l’oncologo deve essere capace di sedurre il suo ammalato. Dove per seduzione intende la capacità di fare innamorare di se il paziente e attraverso questo rapporto generare onestà e fiduciosa dipendenza non solo per accettazione delle proposte terapeutiche, ma anche per fugare dubbi e dare risposte congrue a domande di vario tipo.
Qui l’atteggiamento sussiegoso non appartiene ai medici migliori, quelli veramente bravi sono tutt’altro. Proverbiale è sempre stata la disponibilità di Umberto Veronesi, il più illustre chirurgo oncologo italiano e il suo tratto umano verso malati, indipendentemente da censo e ideologie. Tutte cose che completano e non sminuiscono minimamente l’autorevolezza del medico ma lo rendono amico. C’è molto da imparare.