Convegni sui malati ma senza i malati
Qualche tempo fa mi sono trovato ad assistere ad una tavola rotonda dal titolo “Il malato che sa: una opportunità o un problema?”
Qualche tempo fa mi sono trovato ad assistere ad una tavola rotonda dal titolo “Il malato che sa : una opportunità o un problema?”.
Sede universitaria prestigiosa, professori universitari della facoltà di medicina, esperti di comunicazione e di bioetica. L’incontro governato da una esperta di comunicazione voleva esplorare il problema del paziente di fronte alle informazioni ricevute dai media e a quanto sa della sua malattia.
Situazione problematica, piena di incertezze che spesso si scontra con realtà mediche, ospedaliere ed organizzative dure e non in completa sintonia con i bisogni dei singoli. Lodevole quindi l’iniziativa e l’ intenzione di affrontare il problema in ambiente didattico- universitario alla presenza di medici, studenti e operatori del volontariato.
Durante il dibattito frasi come “rimettere al centro del lavoro il paziente”, “curare il malato e non la malattia” “favorire il dialogo”, ”informare”, “divulgare per migliorare”, ecc, si sprecavano. Apparivano però di maniera perché prive di agganci pratici: era poco chiaro quello che ognuno aveva fatto per mettere realmente in pratica quello che diceva.
E cosa più importante: mancava la voce del malato, di chi in altri termini poteva esprimere fino in fondo problemi e disagi e aiutare gli oratori a essere concreti. Era assente chi poteva realmente dire se è meglio sapere o non sapere e raccontare come aveva reagito il medico quando l’aveva informato di essere andato in internet a verificare i tipi di cura.
Mancava chi poteva raccontare quanto tempo gli era stato dato per poter esporre e approfondire la propria storia, quanto era stata l’attenzione ricevuta o quanto ci si senta “numero” o protagonista di una alleanza terapeutica (parole queste ultime abusate di questi tempi).
Spesso facciamo convegni e incontri sui problemi che riguardano i malati senza però invitarli: il loro contributo ci aiuterebbe ad essere concreti, ad evitare di parlarci addosso, a stimolarci a raccontare cosa si fa realmente per loro e a riflettere sul proprio comportamento perché spesso si dice una cosa e nella quotidianità se ne fa un’altra.
Alberto Scanni