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Anche i malati poveri hanno diritto alla salute

La spesa sanitaria privata è in aumento, ma quali prospettive di cura si possono garantire a chi è indigente?

Anche i malati poveri hanno diritto alla salute

Un italiano su quattro è a rischio di povertà e chi prima apparteneva al ceto medio ha sempre più difficoltà economiche che incidono fortemente sul bene salute. Da alcune indagini risulta che la paura maggiore (l’85% degli intervistati) riguarda il non poter  rispettare gli impegni economici e soprattutto di non essere più in grado di far fronte alle spese mediche. Chi ha ancora soldi ce la fa: la cosiddetta spesa sanitaria privata - in altri termini quanto il cittadino tira fuori di tasca propria - è fortemente in aumento rispetto a quanto offre la sanità pubblica, ma chi è indigente o si avvia alla indigenza diventa vittima innocente di una situazione di cui non ha alcuna colpa e il sistema non può non farsi carico di queste realtà. Giusto razionalizzare, giusto accorpare, giusto bloccare le assunzioni, giusto chiudere strutture obsolete per fare cassa, ma una cosa importante è capire che la soluzione della sofferenza e della malattia, dei poveri in particolare, non è ascrivibile solo alla categoria della economia. E la risposta non può solo passare attraverso onlus e associazioni di volontariato, ma attraverso programmi politici globali che prevedano un reale  recupero della dignità della persona.

La cosa più semplice è superare la frammentazione degli interventi con  la creazione di “Tavoli regionali per le fasce deboli“ a cui partecipino gli assessorati di Sanità, Famiglia e sicurezza sociale, Casa, Istruzione, che diventino soggetti unici di interlocuzione, che fotografino la povertà della regione di appartenenza, che semplifichino gli aspetti burocratici, che ascoltino i bisogni di malati e famiglie, che si esprimano a livello regionale con una voce unica, che costruiscano programmi e momenti di verifica di quanto messo in atto e che siano soprattutto finalizzati a far si che i soggetti deboli recuperino il rispetto di se stessi e non siano solo usufruttuari di “bisogni assistiti”.

Alberto Scanni



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