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Adroterapia: la nuova frontiera della radioterapia

Come funziona e a chi può essere utile l'adroterapia, una delle tecniche promettenti contro tumori finora difficili da curare

Adroterapia: la nuova frontiera della radioterapia

di Francesco Natale

Editor: Silvia Licciulli

Revisori Esperti: Erica Repaci, Dario Gasparrini

Revisori Naive: Carlotta Stegagno, Giuseppe Forino

La radioterapia convenzionale è ampiamente adoperata nel trattamento dei tumori ma presenta alcuni limiti, come l’impossibilità di risparmiare i tessuti sani. L’introduzione dell’adroterapia offre una soluzione a questo problema, aprendo la strada verso un nuovo modo di combattere il cancro.

La radioterapia convenzionale nel trattamento dei tumori impiega radiazioni ionizzanti per controllare o eliminare le cellule tumorali. Può essere adoperata in combinazione con chemioterapia o intervento chirurgico, oppure come come unico approccio. Tra le radiazioni utilizzate, elettroni e raggi X sono quelle maggiormente diffuse ma presentano limiti che, globalmente, riducono la loro efficacia ed impiego. Negli ultimi anni l’affermarsi – prima in campo sperimentale, poi in clinica – dell’adroterapia ha aperto le frontiere ad un nuovo approccio terapeutico dalle molteplici applicazioni.

Come funziona la radioterapia? Per rispondere a questa domanda occorre fare una breve digressione su come le radiazioni, interagendo con la materia, possano tradursi in un effetto terapeutico. Le particelle cariche (elettroni, protoni, nuclei) o neutre (neutroni, fotoni) possono percorrere un tratto di spazio ben preciso, a seconda dell’energia di cui dispongono, che equivale alla velocità con cui si muovono. Lungo il loro tragitto possono cedere parte della loro energia, provocando la ionizzazione degli atomi della materia che attraversano. Il processo di ionizzazione, che in questo caso consiste nella perdita di uno o più elettroni, rende la materia instabile e reattiva e si traduce su scala molecolare in un danno delle componenti biologiche, qualora il bersaglio sia una cellula. In ambito terapeutico, il danno biologico più efficace è la rottura del doppio filamento di DNA, che comporta l’attivazione di una serie di processi il cui risultato è la morte delle cellule tumorali.

Non tutte le forme di radiazione, tuttavia, presentano caratteristiche fisiche ottimali ai fini terapeutici. Gli elettroni, ad esempio, non penetrano in profondità nei tessuti e, pertanto, non possono essere adoperati per trattare tumori profondi, come ad esempio quelli del cervello. I raggi X, invece, rilasciano la maggior parte della loro energia prima di raggiungere il bersaglio e solo una frazione di questa energia andrà a contribuire all’effetto terapeutico (Fig. 1, curva blu). In entrambi i casi, le suddette forme di radiazione possono mettere a rischio tessuti sani o organi vitali.

Figura 1 (clicca per aprire in .pdf) – I raggi X (curva blu) danneggiano maggiormente i tessuti sani più esterni, mentre il bersaglio (tumore) riceve una quantità minore di radiazioni. Protoni (curva rossa) e ioni carbonio (curva verde) rilasciano una bassa quantità di radiazioni nei tessuti sani. Il danno maggiore è invece concentrato nel bersaglio (tumore), dove gli adroni terminano la loro corsa (Picco di Bragg).

È a questo proposito che l’adroterapia offre numerosi vantaggi. Come la radioterapia convenzionale, l’adroterapia è una forma di radioterapia applicata tramite un fascio di radiazioni ionizzanti generate da una sorgente esterna all’organismo e che, penetrando i tessuti, raggiunge il bersaglio.

Mentre la radioterapia convenzionale adopera principalmente fotoni (particelle prive di massa e carica), l’adroterapia utilizza invece gli adroni, protoni e neutroni in numero variabile, che nel complesso formano il nucleo atomico dotato di massa e carica positiva. Gli elementi adoperati oggi in adroterapia clinica sono idrogeno e carbonio, da cui si ricavano i rispettivi ioni mediante rimozione degli elettroni. Altri elementi in fase di sperimentazione sono elio ed ossigeno. Una volta generati, gli ioni vengono convogliati in un acceleratore di particelle (ciclotrone o sincrotrone) che, in maniera simile ad una fionda, prima accelera il fascio di ioni, aumentando la sua energia, e successivamente lo direziona verso il tessuto bersaglio. All’inizio del suo tragitto attraverso il tessuto, il fascio di adroni è veloce, quindi la probabilità che interagisca con la materia è più bassa e di conseguenza il fascio procura un danno minimo alla porzione di tessuto che attraversa. Man mano che penetra i tessuti del paziente, però, il fascio di adroni perde energia perché viene progressivamente rallentato, fino al punto in cui le particelle cessano completamente di muoversi. In questo punto, detto picco di Bragg (Fig. 1), tutta l’energia residua delle particelle viene rilasciata ed il danno provocato ai tessuti bersaglio è massimo.

Quando le cellule tumorali sono colpite dal fascio di particelle accelerate, il DNA nei loro nuclei viene danneggiato a tal punto che i sistemi di riparazione – presenti in ogni cellula del nostro corpo – non riescono a svolgere il loro compito in maniera efficiente; di conseguenza si attivano dei meccanismi di morte cellulare a carico delle cellule tumorali, che vengono successivamente eliminate per opera delle cellule del sistema immunitario. Questo effetto – più pronunciato per gli ioni carbonio – è dovuto all’alta ionizzazione che si raggiunge solo nel picco di Bragg. Lontano dal picco di Bragg, ovvero nei tessuti sani, il danno provocato dagli adroni è meno critico e le cellule sane potranno ripararlo con facilità. Il picco di Bragg si presenta ad una specifica profondità che dipende, tra i vari fattori coinvolti, dall’energia iniziale. Variando l’energia è possibile quindi raggiungere la profondità desiderata: un fascio più veloce (dunque più energetico) penetrerà più in profondità di un fascio lento. Grazie a questa particolarità, gli adroni permettono di irradiare tumori profondi, massimizzando la dose di radiazione rilasciata nel bersaglio e riducendo di molto quella assorbita dai tessuti sani circostanti (Fig. 2).

Figura 2 (clicca per aprire in .pdf) – Paragone tra piani di trattamento con adroni (protoni e ioni carbonio) e raggi X (fotoni) di tumori del cervello (glioblastoma multiforme), del polmone o dell’intestino retto. I colori indicano la quantità di radiazione, crescente dal blu al rosso, che viene depositata nei tessuti (dose). In entrambi i casi la copertura del bersaglio è buona ma nel caso degli adroni la dose depositata nel tessuto sano è molto minore. Adattata da [1].

Inoltre, essendo dotati di carica positiva, gli ioni possono essere concentrati in uno spazio molto piccolo (pochi millimetri) e direzionati tramite potenti campi magnetici, cosa che risulta estremamente utile quando si vuole colpire con precisione un tumore risparmiando i tessuti sani circostanti. Similmente, spostando i magneti – e quindi il campo magnetico – in una direzione o nell’altra, è possibile dare una direzione al fascio (Fig. 3). Una volta concentrato il fascio e reso direzionabile, serve una guida per indirizzarlo. Qui entrano in ausilio le tecnologie di analisi per immagini, come la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata), che possono “fotografare” il tumore, fornendo le coordinate della sua posizione nel corpo del paziente. Con queste ultime si potrà, quindi, direzionare il fascio di particelle, in maniera simile a quella con cui si tinteggerebbe una parete con una pistola a spruzzo. Il sistema di puntamento di un fascio di ioni concentrato, combinato alla variazione di energia, permette quindi di scansionare con precisione millimetrica un tumore in molteplici sezioni a diverse profondità (Fig. 3).

Figura 3 (clicca per aprire in .pdf) – Il fascio di particelle viene concentrato e direzionato tramite magneti opportunamente posizionati, conferendo manovrabilità nelle due dimensioni (sopra-sotto, destra-sinistra). Per direzionare il fascio nella terza dimensione (avanti-indietro) è necessario modulare l’energia delle particelle (ovvero, la loro velocità): un fascio molto energetico andrà più in profondità di uno meno energetico. Adattata da [2].

L’adroterapia rappresenta una nuova frontiera per la radioterapia dei tumori in quanto – rispetto ad un trattamento convenzionale – non solo consente di risparmiare i tessuti sani o gli organi vitali, ma rende anche possibile il trattamento di alcuni particolari tumori che risultano resistenti alla radioterapia convenzionale. L’impiego dell’adroterapia nel trattamento dei tumori ha richiesto anni di valutazione di potenziali effetti collaterali derivanti dalla dose – seppur minima – depositata al di fuori del bersaglio. Il principale oggetto di discussione nella comunità medica è il rischio di sviluppare neoplasie secondarie, cioè derivanti dal trattamento stesso, cosa che, a differenza di quanto può accadere con la radioterapia convenzionale, con l’adroterapia potrebbe in teoria verificarsi anche in siti distanti dal tumore primario. Si tratta comunque di eventualità molto rare non confermate dalla casistica per ora disponibile. L’integrazione di esperimenti di dosimetria [3] e lo studio di pazienti precedentemente trattati con differenti modalità di radioterapia [4] sono tuttora in corso e permetteranno in un prossimo futuro di rispondere a questi quesiti in maniera precisa.

Ad oggi, diverse decine di migliaia di pazienti sono stati trattati con adroterapia con tassi di guarigione parecchio incoraggianti, specialmente per tumori difficili (spesso inoperabili) come quelli della testa e del collo, della prostata o del polmone. Con l’avanzamento tecnologico che ha reso possibile la fabbricazione di acceleratori di particelle relativamente compatti (circa 20 metri di diametro), il numero di centri di adroterapia è notevolmente aumentato nell’ultimo decennio. Anche l’Italia ha investito nella realizzazione di un centro nazionale dedicato al trattamento dei tumori mediante adroterapia, il CNAO, che ad oggi è il quarto nel mondo, dopo quelli presenti negli Stati Uniti, in Germania e in Giappone. Nel prossimo futuro, l’utilizzo di altri adroni (come elio e ossigeno) ed il miglioramento del controllo del fascio di particelle su bersagli in movimento (pensate al cuore!), permetterà di trattare in maniera sempre più precisa sia tumori che patologie non-tumorali.

 

Bibliografia:

[1] Schlaff, …, and Camphausen.Bringing the heavy: carbon ion therapy in the radiobiological and clinical context. Radiation Oncology 2014.

[2] Construction of a Clinical Therapy Facility for Cancer Treatment with Ion Beams, A Project Proposal by the Radiologische Universitätsklinik Heidelberg, the Deutsches Krebsforschungs-zentrum Heidelberg (DKFZ) and the Gesellschaftfür Schwerionenforschung, Darmstadt (GSI) incooperation with the Forschungszentrum Rossen-dorf (FZR).

[3] Kaderka, …, and La Tessa. Out-field-dose measurements in a water phantom using different radiotherapy modalities. Phys. Med. Biol. 2012.

[4] Ramaekers, …, and Grutters. Systematic review and meta-analysis of radiotherapy in various head and neck cancers: comparing photons, carbon-ions and protons. Cancer Treat Rev. 2011.

 

 

Autore: Francesco Natale

Francesco Natale ha conseguito una laurea in biotecnologie mediche ed un dottorato in patologia e fisiopatologia molecolare presso l’Università di Napoli “Federico II” (2008). Appassionato da sempre di epigenetica e biologia della cromatina, si è avvicinato allo studio delle radiazioni ionizzanti e dei sistemi di riparazione del DNA durante la sua permanenza al GSI (centro di ricerca sugli ioni pesanti) di Darmstadt, Germania (2009-2013). Nel 2013 ha poi approfondito lo studio della radioterapia presso l’istituto nazionale di scienze radiologiche di Chiba (Giappone), dove ha acquisito buone basi nel campo della adroterapia. Oggi lavora come postdoc presso il dipartimento di biologia cellulare ed epigenetica dell’università di Darmstadt.



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