Covid-19: stiamo dando i numeri?
I confronti con i numeri di marzo non hanno alcun senso. La situazione però impone un intervento
E' record. E' con questa descrizione che i principali organi di informazione descrivono la situazione contagi nel nostro Paese. Vero, gli oltre 7 mila casi di positività al virus rappresentano il più alto valore mai raggiunto in termini di casi accertati in un solo giorno. Numeri che però dicono molto poco se non inseriti nel racconto di un contesto. Senza una spiegazione infatti i rischi derivanti da un'informazione monca sono essenzialmente due: la paura o la banalizzazione del problema.
UN CONFRONTO CHE NON REGGE
Il primo imperdonabile errore è confrontare il numero di contagi che avvengono oggi con quelli di marzo. Un confronto privo di senso. Nel pieno della prima ondata la capacità di effettuare tamponi era immensamente inferiore rispetto ad oggi. Questo significa che si andavano ad intercettare solo i casi più gravi, la famosa punta dell'iceberg. I 6.557 del 21 marzo, il famoso picco, probabilmente erano un decimo dei casi individuati. A dimostralo sono le indagini sierologiche effettuate nei mesi successivi che ci hanno permesso di capire quanto il virus sia circolato.
L'ICEBERG INTERO
Oggi invece, con una quantità di tamponi effettuati 4 volte almeno superiore rispetto a marzo, i casi rilevati sono un bel pezzo in più dell'iceberg. Ma al di là di questa considerazione di base, ciò che dovrebbe indurci ad un serio cambio di rotta è il rapporto tra tamponi effettuati e tamponi positivi. E' quello uno dei primi indicatori su quanto il virus stia circolando nella popolazione. Quando questo rapporto è molto basso significa che il virus circola a bassa intensità e che è semplice spegnere un focolaio nascente. Se nel periodo peggiore della pandemia questo rapporto era pari al 25%, tra giugno e luglio il valore si è sempre attestato sotto l'1%.
I SEGNALI INASCOLTATI
Qualcosa poi è cambiato a partire da agosto quando lentamente il rapporto è tornato ad aumentare per poi subire un balzo sino al 7% nelle ultime due settimane. Dato che di riflesso si è tradotto in un inesorabile aumento nel numero di ricoverati con sintomi, in terapia intensiva e decessi. La situazione in cui ci troviamo oggi dunque non è affatto un fulmine a ciel sereno.
Di segnali ce ne sono stati molti ma chi li faceva notare era tacciato di catastrofismo e voglia di lockdown. "Il virus si è indebolito", "Non vediamo più casi gravi" e "Con lo stesso numero di positivi di maggio le terapie intensive ora sono vuote" sono state le frasi più in voga per giustificare il ritorno ad una piena normalità. Oggi invece, ad un mese dalla riapertura delle scuole, siamo tornati a discutere della necessità o meno di un lockdown perché a parlare è la realtà.
In questo momento quel famoso indice ci dice che la situazione sta di nuovo sfuggendo di mano. Ci dice che non riusciamo più a controllare efficacemente la circolazione del virus. Le ragioni sono tante e non sono solo ascrivibili ai comportamenti del singolo. Cercare un capro espiatorio, come fatto in passato, non ha alcun senso in termini di risoluzione del problema.
IL CONTRIBUTO DI TUTTI. NESSUNO ESCLUSO
Molto possiamo fare noi con il nostro comportamento. Mascherine, distanziamento, piccole rinunce (ma come, avevo già organizzato la festa...), igiene delle mani. Molto però può e deve fare la macchina organizzativa. Abbiamo avuto mesi per prepararci eppure il sistema di test e tracciamento è farraginoso. La gestione delle quarantene ancora un'incognita. L'utilizzo di test rapidi anche. La comunicazione istituzionale la grande assente (l'esempio dell'App Immuni rende bene l'idea).
Un nuovo lockdown generale significherebbe gettare la spugna. Invece abbiamo ancora il tempo -non per organizzarci, quello che non è stato fatto in mesi non si recupera in pochi giorni- per intervenire in maniera mirata laddove ci sono delle criticità. Tutti devono fare la propria parte. Tante gocce fanno un mare. Ognuno si prenda la propria responsabilità. Solo in questo modo eviteremo di ritrovarci nelle condizioni della prima ondata.
p.s nei prossimi giorni casi, ricoveri e decessi sono destinati ad aumentare. Un cambio di rotta lo si può vedere almeno dopo due settimane dai primi provvedimenti. Ricordiamocelo.