Il principio di riduzione nella sperimentazione animale
Nel post precedente abbiamo iniziato a vedere nel dettaglio le 3R su cui si basa il lavoro del Comitato Etico per la Sperimentazione Animale. Dopo la R di Rimpiazzo, è necessario parlare della R di Riduzione e per poterlo fare non posso evitarvi una minuscola lezioncina di statistica
Nel post precedente abbiamo iniziato a vedere nel dettaglio le 3R su cui si basa il lavoro del Comitato Etico per la Sperimentazione Animale. Dopo la R di Rimpiazzo, è necessario parlare della R di Riduzione e per poterlo fare non posso evitarvi una minuscola lezioncina di statistica. Premetto che per ragioni di spazio, praticità e leggibilità, sarò al limite dell'elementare, quindi se qualche statistico si dovesse indignare per l'estrema semplificazione, per cortesia, evitasse di riempirmi di insulti, ché a quello già ci pensano gli attivisti anti-sperimentazione.
Supponiamo di entrare in una scuola elementare e vedere tutti gli alunni in ricreazione; ci saranno alunni di prima e di quinta e di tutte le classi e sezioni intermedie, tutti insieme in cortile. Siccome siamo scienziati e abbiamo la domanda facile, a volte fin troppo, ci chiediamo: "Gli alunni di 5ª sono più alti di quelli di 1ª?". Certo, potremmo scegliere di spendere il nostro tempo facendoci domande più sensate, ma questa è una storia e non dimentichiamoci che siamo scienziati e come i bambini continuiamo a chiedere continuamente spiegazioni. Quindi aspettiamo che la ricreazione finisca, entriamo in una classe di prima e diamo uno sguardo veloce, poi entriamo in una di quinta e facciamo lo stesso. Sì, a occhio e croce sono più alti. Ma occhio e croce non significa niente, noi siamo scienziati e vogliamo i numeri. Quella che abbiamo fatto è un'osservazione empirica, da cui possiamo trarre un'ipotesi. In questo caso, l'ipotesi è "Gli alunni di 5ª sono più alti di quelli di 1ª!!". Questa volta non è una domanda ma un'affermazione e come tale può essere vera o falsa. Il compito della statistica è aiutarci a decidere se questa affermazione, che deriva dalla nostra ipotesi, sia vera o falsa. Per fare ciò, stabiliamo una soglia di "accettabilità" della nostra ipotesi, che generalmente è del 5%; lo so, ora non ha senso questa frase, ma dopo la capirete. Quindi entriamo nella classe di prima con un metro e misuriamo l'altezza di tutti gli alunni, facciamo lo stesso con quelli di quinta e inseriamo i dati in due colonne separate. A questo punto, la statistica mi fornisce uno strumento, chiamato test statistico, un banale calcolo matematico grazie al quale io introduco le altezze e lui mi fornisce un valore, una percentuale. Immaginiamo che il risultato di questo calcolo sia 1%. Beh? Che significa? Questo numero significa che c'è un 1% di probabilità che i due gruppi in realtà abbiano altezze simili e che le differenze che abbiamo visto " a occhio e croce" siano puramente casuali; in altre parole, significa che la nostra ipotesi di prima ("Gli alunni di 5ª sono più alti di quelli di 1ª!!") sia falsa. Questo valore non sarà mai zero, ma essendo sotto il 5% che abbiamo stabilito prima, noi accettiamo la nostra ipotesi (se fosse maggiore, dovremmo rifiutarla) e concludiamo che sì, "gli alunni di 5ª sono statisticamente più alti di quelli di 1ª".
Supponiamo ora di ripetere questo stesso esperimento in una scuola di un piccolo paese di campagna, in cui le classi non hanno 30 alunni come le scuole delle città ma contano 4-5 alunni ciascuna. Se lo facessimo, il risultato del nostro test statistico, la percentuale, salirebbe da 1% a valori più alti, magari (invento) un 10% e quindi, essendo maggiore del 5% universalmente accettato, noi dobbiamo rifiutare la nostra ipotesi e concludere che "non abbiamo elementi sufficienti per dire che gli alunni di 5ª siano più alti di quelli di 1ª". Cosa è cambiato? I bambini di 6 anni hanno la stessa altezza sia in città che in campagna, i bambini di 11 anni idem, ho usato lo stesso metro, il metodo che ho applicato è lo stesso... Ma è cambiato il numero di bambini che ho misurato: siamo passati dall'avere due gruppi di 30 alunni a due gruppi di 5, e questo porta a una perdita di ciò che in gergo si chiama "potenza statistica", ovvero il test non è più in grado di stabilire se la differenza che vediamo "a occhio e croce" sia statisticamente vera o solo dovuta al caso. Attenzione: non è che non ci sia più differenza, ma semplicemente non siamo più in grado di vederla; la statistica non crea e non elimina differenze, permette solo di definirle come tali.
Chiedo venia per la noiosa lezioncina di statistica ma ne ho bisogno per portare il discorso originale alla sua conclusione. Di cosa parliamo quando citiamo la Riduzione come principio bioetico? Russell e Burch, i due scienziati che formularono il principio delle 3R, parlano di riduzione come il "tentativo di minimizzare il più possibile il numero di animali da utilizzare attraverso, ad esempio, un miglior disegno sperimentale, l'uso di database informatici e statistica appropriata". Il disegno sperimentale è quella fase dell'esperimento in cui si decide quale protocollo seguire, quali prove eseguire e quando e, tra le altre cose, quanti animali utilizzare: il risultato di questa fase è il protocollo da sottoporre al Comitato Etico. Tuttavia, non è sufficiente migliorare il disegno sperimentale se non si applica una buona statistica. È quindi necessario avere ben chiaro che tipo di test si vuole utilizzare (ne esistono moltissimi, anche per casi molto più complicati del semplice esempio precedente) e questo implica un numero minimo di animali da utilizzare, per poter rispettare la potenza del test. La riduzione è il principio più complesso, perché presuppone conoscenze di statistica non indifferenti: l'idea è che lo sperimentatore riesca a calcolare il numero minimo di animali di cui avrà bisogno per poter applicare un test che sia in grado di dirgli che l'effetto che sta misurando sia effettivamente reale e non dovuto al caso. Per questo motivo, è necessario avere contatti con persone esperte di statistica e disegno sperimentale, quando si tratta di chiedere l'approvazione del Comitato Etico, persone che siano in grado, coi numeri e non "a occhio e croce", di dirci il numero minimo di animali di cui abbiamo bisogno per poter dire, con ragionevole approssimazione, che "sì, la differenza che vedo è reale" o che "no, la differenza che vedo è casuale".
Un buon metodo è quello di effettuare "esperimenti pilota": su un ristretto numero di animali, si stabilisce l'effetto di una manipolazione e si usa questa osservazione per formulare una ipotesi su cui basare tutto lo studio. Per semplificarla (moltissimo), uno studio pilota equivale a quando siamo entrati nelle aule di prima e di quinta e abbiamo dato uno sguardo veloce agli alunni, stabilendo "ad occhio e croce" che avevano altezze mediamente diverse.
Il rischio, ora, è evidente: il numero di animali da utilizzare è una media tra disegno sperimentale, calcoli statistici, esperimenti pilota e considerazioni etiche. Se non si applica la riduzione, si incappa nella possibilità di usare fin troppi animali, più del necessario, e questo non è etico. Se si applica la riduzione in maniera eccessiva, si rischia di trovarsi nella situazione della scuola di campagna, in cui una differenza reale, vera (l'altezza superiore dei bambini di 11 anni rispetto a quelli di 6 anni) non viene vista come tale dal punto di vista statistico e quindi non ha significato scientifico. In medio stat virtus, mai locuzione fu più azzeccata.
Francesco Mannara