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Daniele Banfi
pubblicato il 18-09-2023

Covid-19 e Neanderthal: chi è a rischio?



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Alcune varianti genetiche ereditate dal Neanderthal sono associate a un rischio di malattia grave. Questo spiegherebbe l'eccesso di mortalità nelle valli bergamasche? No, non ancora

Covid-19 e Neanderthal: chi è a rischio?

Sviluppare una forma grave di Covid-19 può dipendere anche dalla genetica. A dimostrarlo, in questi tre anni di pandemia, sono stati diversi studi a riguardo. In particolare, secondo queste analisi, possedere alcune mutazioni ereditate dal nostro antenato Neanderthal aumenterebbe il rischio di andare incontro a forme gravi di malattia. Ma questo non significa che in alcune aree dove la pandemia ha colpito più duramente, specialmente la prima ondata nella bergamasca, la causa dell'elevata mortalità sia stata la "genetica". Possedere geni mutati è molto comune e questi non si concentrano esclusivamente nel nord-Italia. Ecco perché l'elevata mortalità nelle zone delle valli bergamasche  non è dipesa dalla sola predisposizione genetica.

SPIEGARE LE FORME GRAVI DI COVID-19

I dati parlano chiaro: le probabilità di sviluppare Covid-19 in forma grave aumentano esponenzialmente con l'età e in presenza di particolari fattori di rischio. Ma con il passare della pandemia è risultato sempre più evidente come alcune persone possano sviluppare comunque forme gravi di malattia apparentemente senza una ragione. Per questo motivo l'attenzione della ricerca si è concentrata nell'individuazione di quei fattori scritti nel nostro Dna capaci di aumentare le probabilità di Covid-19 severo. Il primo studio a far luce sul ruolo della genetica è stato realizzato nel settembre 2020 dal futuro premio Nobel Svante Pääbo, scienziato impegnato da anni nello studio del genoma dei nostri antenati, primo fra tutti l'uomo di Neanderthal. Nell'analisi, pubblicata su Nature, si è dimostrato che alcune varianti di geni presenti nel cromosoma 3 predisponevano a sviluppare forme gravi di Covid-19. Geni ereditati proprio dal Dna dei nostri antenati di Neanderthal.

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

QUEI GENI EREDITATI DA NEANDERTHAL

Studi successivi hanno poi identificato con maggior precisione i geni coinvolti. Un'analisi, pubblicata dal New England Journal of Medicine, ha identificato nelle varianti dei geni CCR9, CXCR6, e LZTFL1 -importanti nella risposta immunitaria- i fattori predisponenti la malattia grave. Successivamente, altri due studi realizzati dall'IRCCS Istituto Clinico Humanitas, hanno identificato quali fattori predisponenti lo sviluppo di fomre gravi alcune mutazioni dei geni responsabili della produzione dell'interferone (molecola importante nel rispondere alle infezioni virali) e delle proteine MBL. Studi, questi ultimi due, raccontati in questo nostro articolo. Per contro, a dimostrazione nell'importanza della genetica, possedere una particolare mutazione (HLA-B*15:01) rende asintomatici quando si contrae il virus.

LA CONFERMA NELLE INFEZIONI DELLA BERGAMASCA

Recentemente un'analisi dell'Istituto Mario Negri di Milano, pubblicata su iScience, ha confermato il ruolo della genetica nello sviluppo delle forme severe di infezione da coronavirus. Lo studio ha coinvolto circa 1200 persone provenienti dalla Val Seriana così suddivise: 400 che hanno sviluppato Covid-19 in forma grave, 400 una malattia lieve e le restanti 400 tra le persone che non hanno sviluppato la patologia. Analizzando poi il Dna di queste persone è emerso che chi ha sviluppato Covid-19 grave possedeva una serie di sei geni ereditati dal genoma del Neanderthal. Tra questi c'erano proprio CCR9, CXCR6 e LZTFL1, presenti sul cromosoma 3, già identificati nello studio del Nobel Svante Pääbo.

NESSO CAUSALE DA DIMOSTRARE

Attenzione però alle facili interpretazioni: lo studio dell'Istituto Mario Negri ha confermato il ruolo importante della genetica nello sviluppo di alcune forme severe di malattia. Ciò non significa che l'eccesso di mortalità verificatosi nella zona della bergamasca nei primi mesi del 2020 sia stato causato dal possedere i "geni di Neanderthal". Quei geni infatti sono presenti in una discreta porzione di cittadini europei (16%) e buona parte degli asiatici (50%). Per dimostrare invece un nesso causale tra gli incredibili numeri di Bergamo nelle prime settimane di pandemia e i "geni di Neanderthal" occorrerebbe dimostrare che a parità di persone infettate si ammalano più gravemente le persone della sola bergamasca in quanto portatori di questi geni. Non solo, occorrerebbe dimostrare anche che queste varianti siano più diffuse in Val Seriana. Ma questi dati non appaiono in alcun studio. Che questi geni aumentino il rischio è un dato di fatto, come già dimostrato in diversi analisi. Ma la "strage" del febbraio 2020 nelle valli non è stata solo una questione di genetica.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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