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Cardiologia
Daniele Banfi
pubblicato il 04-09-2023

Long-Covid: il danno al cuore è una questione "autoimmune"



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Alterazioni del sistema immunitario in seguito all'infezione Covid-19 possono scatenare un danno al cuore. La ricerca, realizzata in Humanitas, è stata possibile grazie al finanziamento della Fondazione

Long-Covid: il danno al cuore è una questione "autoimmune"

Una delle complicanze più comuni delle infezioni gravi da Covid-19 è il danno cardiaco. I pazienti ricoverati spesso presentano problemi a livello del cuore che possono persistere a distanza di mesi. Un danno a lungo termine che sembrerebbe dovuto ad un'alterata risposta del sistema immunitario. Il virus, danneggiando il nostro sistema di difesa, può innescare sul lungo periodo una reazione di auto-immunità contro il tessuto cardiaco. Ecco spiegata la persistenza del danno. I risultati, ad opera dei ricercatori dell'Istituto Clinico Humanitas e pubblicati su Circulation, sono stati possibili grazie al finanziamento della Fondazione Veronesi.

LONG-COVID E CUORE

«Le complicanze cardiovascolari sono frequenti nei pazienti guariti da Covid-19, soprattutto in chi ha sofferto di una forma grave dell’infezione – spiega il prof. Gianluigi Condorelli, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas e docente Humanitas University -. Gli studi ci dicono che la metà dei pazienti ricoverati per Covid-19 con alti livelli di troponina (un indicatore di danno al tessuto cardiaco) presentano anomalie nella risonanza magnetica cardiaca anche a 6 mesi dalla guarigione».

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NON SOLO DANNO DIRETTO

Che un'infezione virale -in particolar modo la malattia Covid-19- possa portare ad un danno al cuore non è certo una novità. Il virus infatti, infettando le cellule cardiache, può portare ad un danneggiamento diretto del cuore. Questo però non è sufficiente a spiegare la persistenza dei sintomi a mesi di distanza, ovvero quando il virus non è più presente da tempo. Partendo da questo quesito i ricercatori di Humanitas hanno analizzato alcuni pazienti ricoverati per Covid-19 concentrandosi in particolare su chi, a distanza di 6 mesi dalle dimissioni, mostrava ancora alla risonanza magnetica un danno cardiaco.

LO STUDIO

«Analizzando i campioni di questi pazienti abbiamo scoperto un’attivazione anomala di alcuni tipi di globuli bianchi –le cellule B, quelle deputate a produrre gli anticorpi– e abbiamo identificato la presenza di alcuni auto-anticorpi che riconoscono i tessuti del cuore. Come abbiamo poi dimostrato in uno studio di laboratorio, questi auto-anticorpi sono assenti nei pazienti ricoverati ma senza danni cardiaci e sono sufficienti a scatenare una reazione autoimmune contro il cuore» spiegano i ricercatori Marco Cremonesi e Arianna Felicetta, primi autori dello studio su Circulation. «I dati dello studio, seppur indicativi e derivati da un piccolo numero di pazienti, supportano la nostra ipotesi di partenza – afferma il prof. Marinos Kallikourdis, capo del Laboratorio di Immunità Adattiva di Humanitas e docente Humanitas University-: il danno cardiaco è compatibile con un meccanismo chiamato perdita di tolleranza immunologica». 

IL MECCANISMO

Secondo gli autori alcune cellule immunitarie fatte per riconoscere i nostri tessuti vengano accidentalmente stimolate dall’incontro con il virus e spegnendo “il freno” che, in condizioni normali, impedisce loro di orchestrare un’aggressione contro il nostro organismo. «La perdita di tolleranza immunologica potrebbe spiegare anche la varietà dei sintomi del Long-Covid: benché si tratti di un meccanismo singolo, può infatti produrre conseguenze cliniche molto diverse tra loro, a seconda del tipo di specificità delle cellule immunitarie che perdono la tolleranza dopo l’incontro accidentale con SARS-CoV-2 -continua Kallikourdis-. Ciò significa che lo stesso meccanismo potrebbe spiegare altre reazioni autoimmuni, ad esempio contro il tessuto nervoso, tipiche del Long-Covid». Se ulteriormente confermati, i risultati ottenuti contribuiranno a dimostrare il ruolo determinante dell’immunità nelle malattie cardiache e l’efficacia dimostrata da alcuni farmaci immunomodulanti nel trattamento dei pazienti con Covid-19.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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