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Neuroscienze
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 11-07-2023

Ecco che cosa significa vivere con l'Alzheimer in Italia


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Il mondo delle persone con Alzheimer: dal percorso ad ostacoli verso la diagnosi alla mancanza di centri dedicati, dalle terapie disponibili ai consigli per contenere il rischio

Ecco che cosa significa vivere con l'Alzheimer in Italia

In un Paese in cui la popolazione invecchia e l’età media è una delle più alte del mondo (46,2 anni, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, aggiornati al 1 gennaio 2022), è facilmente intuibile che tutte le patologie dell’anziano abbiano un impatto rilevante e a tutti i livelli, comprese le forme di demenza, Alzheimer in testa. A cominciare dalle difficoltà della vita quotidiana degli over sessantacinquenni affetti da malattie e delle loro famiglie, per passare poi alla gestione collettiva di queste patologie che si traduce in una presa in carico complessa per il Sistema Sanitario Nazionale, con le ovvie ripercussioni economiche.

 

I NUMERI DELL’ALZHEIMER IN ITALIA

Le demenze, di cui l'Alzheimer è la forma più diffusa, costituiscono senza dubbio una malattia articolata e che richiede un approccio multidisciplinare, reso più complesso dai numeri in costante crescita. In Italia, stando ai dati AIMA, Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, si stima che i nuovi casi di demenza siano circa 150.000 ogni anno. I nuovi malati di Alzheimer annualmente diagnosticati sono circa 70.000, per un totale di 650.000 casi, curati a casa per quasi tutta la durata della malattia. Le persone coinvolte nell’assistenza sono circa 3 milioni, soprattutto donne. Il costo annuo della malattia di Alzheimer in Italia è stimato oltre i 15 miliardi di euro. Circa l’80% sono costi diretti e indiretti che pesano su famiglia e caregiver.

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

L’ALZHEIMER NEL MONDO

Anche a livello mondiale la situazione non è affatto confortante. Il Report sullo stato globale della risposta di salute pubblica alla demenza, redatto nel 2021 dall’OMS, rileva che ci sono nel mondo 55 milioni di persone con una forma di demenza, destinate a diventare 78 milioni entro il 2030 e 139 milioni entro il 2050. Ogni 3 secondi una persona, dunque, si ammala di demenza. I costi economici e sociali della demenza hanno raggiunto i 1.300 miliardi di dollari, che si stima possano diventare addirittura 2.800 nel 2030, a causa sia dell’aumento del numero di persone con demenza, sia dei costi relativi alla cura. Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2016 (redatto da Alzheimer’s Disease International, di cui la Federazione Alzheimer Italia è rappresentante per il nostro Paese) dedicato all’analisi dell’assistenza sanitaria delle persone con demenza, rivela che solo la metà dei malati nei Paesi ad alto reddito e uno su dieci nei Paesi a medio e basso reddito ricevono una diagnosi e quindi un’assistenza sanitaria adeguata.

 

LA DIAGNOSI DIFFICILE

Arrivare alla diagnosi richiede, in genere, un tempo piuttosto lungo. E, la storia della signora Maria, con tutte le possibili declinazioni del caso, sfumature e caratteristiche individuali, è piuttosto emblematica. Maria ha 77 anni. È estate e fa parecchio caldo, ma lei si ostina a uscire di casa con due giacche pesanti sovrapposte. Inoltre, da un po’ di tempo, tende a dire più volte le stesse cose. I discorsi vengono ripetuti all’infinito. La figlia Lucia in realtà se ne è già accorta. Ma,… “sarà l’età”. Maria però, oltre a ripetere di continuo e in maniera quasi ossessiva le medesime frasi, comincia anche a dimenticare vocaboli di uso ordinario, quotidiano. “Bisogna preparare il….”, dice a Lucia, un giorno a fine pasto. Ma la parola “caffè” proprio non arriva, nonostante i numerosi tentativi di ricordarla. È come se fosse stata cancellata dalla sua mente. Anche le ciabatte non si trovano più. Per forza, sono finite nel frigorifero. Maria è confusa, agitata, irascibile. Lucia, a tratti, non riconosce più la madre perché il suo carattere è molto cambiato. Sembra quasi un’altra persona: aggressiva, instabile. Lei che era così paziente e disponibile. Non è più “solo l’età”… C’è qualcosa che decisamente non quadra. Quindi Lucia si rivolge al medico di famiglia.

 

DAI SINTOMI AI CENTRI SPECIALIZZATI: UN PERCORSO AD OSTACOLI

«Come accade nella maggior parte dei casi - spiega Mario Possenti, segretario generale della Federazione Alzheimer Italia - dal manifestarsi dei sintomi, magari, è già passato un po’ di tempo perché inizialmente sono episodici e sfumati. Poi la situazione si aggrava. Parte così l’iter diagnostico che richiede tempo per diverse ragioni, alcune connaturate alle caratteristiche intrinseche della malattia, altre a questioni di tipo burocratico, come le lunghe liste di attesa per accedere ai CDCD (Centro Disturbi Cognitivi e Demenze) a cui spetta la diagnosi finale. A differenza di altre malattie infatti, per la diagnosi di Alzheimer non esiste un esame specifico. Per arrivare a una definizione della patologia si segue spesso un percorso che richiede numerose visite di valutazione del malato e l’esecuzione di diversi esami clinici e strumentali. In ogni caso non è possibile arrivare a una certezza diagnostica, possibile solo dopo la morte in seguito a esame autoptico, ma si può comunque definire una diagnosi di malattia di Alzheimer “probabile”».

 

SEI MESI IN MEDIA

Affinché questa assai probabile diagnosi avvenga bisogna però rivolgersi, su richiesta del medico di base, al CDCD e il tempo medio di attesa è di sei mesi. «Un periodo lungo, un limbo difficile per il malato e la sua famiglia. Mesi in cui ci si sente smarriti e in difficoltà, sia dal punto di vista pratico, sia dal punto di vista emotivo. La sensazione quella di dover affrontare un percorso che sarà molto complicato, in totale solitudine». È in effetti questo l’incipit di ciò che accade nella stragrande maggioranza dei casi. «I CDCD sono pochi -prosegue Possenti - aperti poche ore al giorno e con scarsi servizi a disposizione perché manca il personale a causa della limitatezza delle risorse. Devono essere quindi potenziati. Altrimenti la diagnosi viene ritardata e la presa in carico successiva non adeguata alla necessità (molteplici, l’Alzheimer è una malattia fortemente impattante) dei pazienti e delle famiglie. Non esiste ovviamente uniformità a livello territoriale e ci sono quindi zone del nostro Paese che soffrono ancora di più questa penuria di risorse».

 

LA LEGGE 104 E… IL VUOTO LEGISLATIVO

«Le difficoltà di gestione del malato di Alzheimer da parte della famiglia sono gravate anche da un vuoto legislativo - prosegue Possenti - perché la Legge 104 consente ai parenti permessi retribuiti di poche ore, ma l’indennità di accompagnamento viene spesso, in prima istanza, negata perché vengono valutate sole le capacità deambulatorie e non i sintomi dal punto di vista “multidimensionale”, cioè nella loro complessità impattante, al di là della deambulazione in senso stretto. L’Alzheimer è una malattia molto complessa, caratterizzata da sintomi diversificati. E, anche se il decorso della malattia è unico per ogni individuo, ci sono comunque aspetti comuni che danno l’idea di ciò che significa convivere con l’Alzheimer».

 

L'EVOLUZIONE DELLA MALATTIA

L’evoluzione dell'Alzheimer può essere suddivisa con molta approssimazione in tre fasi.

  • «Nella fase iniziale sono prevalenti i disturbi della memoria, ma possono essere presenti anche disturbi del linguaggio. La persona è ripetitiva nell’esprimersi, tende a perdere gli oggetti, a smarrirsi e non ritrovare la strada di casa. Può avere squilibri emotivi, irritabilità, reazioni imprevedibili.
  • Nella fase intermedia il malato si avvia a una progressiva perdita di autonomia, può avere deliri e allucinazioni e richiede un’assistenza continua.
  • La fase severa è caratterizzata dalla completa perdita dell’autonomia: il malato smette di mangiare, non comunica più, diventa incontinente, è costretto a letto o su una sedia a rotelle. La durata di ogni fase varia da persona a persona e in molti casi una fase può sovrapporsi all’altra. La durata media della malattia è stimata tra gli 8 e i 10 anni».
 

I FARMACI PER L'ALZHEIMER

«Attualmente la malattia di Alzheimer non è guaribile - chiarisce Possenti - ma esistono farmaci che possono migliorare alcuni sintomi cognitivi, funzionali e comportamentali e numerose tecniche e attività in grado di ridurre i disturbi del comportamento. Le prime informazioni sulle basi biologiche della malattia, concentrate soprattutto sulla perdita di un neurotrasmettitore, l'acetilcolina, risalgono alla metà degli anni ‘70. I primi farmaci clinicamente approvati per il trattamento della malattia e capaci di impedire la degenerazione del neurotrasmettitore, gli inibitori dell'acetilcolinoesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina), sono stati approvati in Italia nel 2000. Poi nel 2003 si è aggiunta la memantina, attiva nel bloccare un neurotrasmettitore potenzialmente neurotossico, il glutammato. Da allora, sono stati fatti molti progressi nelle conoscenze, che non si sono ancora tradotti in farmaci clinicamente utili, ma che sono la base necessaria per lo sviluppo futuro. In parallelo, sono stati fatti progressi sul piano della diagnosi e dell’impiego di interventi non farmacologici e della prevenzione». Proprio in questi giorni negli USA è stato approvato un nuovo anticorpo, il lecanemab, che sembra rallentare la progressione della malattia in fase precoce, ed è attualmente all’esame delle autorità regolatorie europee.

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PRENDERSI CURA DEI MALATI DI ALZHEIMER

Che cosa si può dunque fare per prendersi cura del malato di Alzheimer? «In assenza di risposte terapeutiche risolutive - prosegue Possenti - diventa sempre più importante il “prendersi cura” della persona malata per migliorarne la qualità di vita sotto tutti gli aspetti. In questo senso, vengono utilizzate terapie non farmacologiche che hanno lo scopo di mantenere il più a lungo possibile le capacità residue del malato. Si parla di terapia occupazionale, affidata a professionisti che forniscono ai familiari e ai caregiver consigli su come gestire un malato in casa, indicazioni di tipo pratico su come assisterlo in ogni momento della vita quotidiana in diversi ambienti e nelle differenti fasi della malattia. Esistono poi: la stimolazione cognitiva (che potenzia le funzioni mentali residue); la Rot o Reality Orientation Therapy (che cerca di mantenere il malato aderente alla realtà che lo circonda); la Validation Therapy (che cerca di capire i motivi del comportamento del malato); la musicoterapia (che riporta a galla con le emozioni le parole di una canzone o il suono di uno strumento); la psicomotricità (che aiuta il malato ad affrontare la propria disabilità con attività di movimento), la Pet Therapy (che utilizza gli animali) a altre modalità di intervento atte a migliorare la qualità di vita del paziente».

 

CHE COSA SERVE E QUALCHE ESEMPIO DI CIÒ CHE È STATO FATTO

Fondamentale quindi è il supporto di una rete efficiente di servizi territoriali (medico di famiglia, centri diurni, assistenza domiciliare integrata), nonché dalle associazioni di familiari, che con la loro attività di informazione, formazione e sostegno costituiscono spesso un punto di riferimento per le famiglie. Tradotto: servono risorse economiche, finanziamenti mirati su progetti a livello nazionale. Intanto proseguono i progetti di associazioni, istituzioni cittadine e categorie professionali. Un esempio interessante di iniziativa sociale basata sulla collaborazione di più soggetti di una stessa città (istituzioni, associazioni, categorie professionali) è il progetto Comunità Amiche delle Persone con Demenza, avviato per la prima volta in Italia nel 2016 dalla Federazione Alzheimer Italia, impegnati nella costituzione di una rete di cittadini consapevoli che sanno come rapportarsi alla persona con demenza per farla sentire a proprio agio nella comunità. Nel 2021 la Federazione Alzheimer Italia ha avviato inoltre Dementia Friendly Italia, progetto nato per sostenere, coordinare e implementare la diffusione di realtà “Amiche delle persone con demenza”: frutto dell’esperienza internazionale acquisita grazie alla partecipazione alla Joint Action on Dementia (www.actondementia.eu), può contare su un metodo e linee guida efficaci per contribuire a rendere una comunità, un’organizzazione o un luogo maggiormente accoglienti per le persone con demenza. A supporto viene ideato il sito www.dementiafriendly.it, dove è possibile trovare un elenco delle Comunità aderenti, informazioni sulla malattia e le iniziative sul territorio. Sullo stesso sito, inoltre, i singoli cittadini che desiderano approfondire la conoscenza della malattia possono intraprendere un percorso formativo per diventare “Amico delle Persone con Demenza”, impegnandosi in prima persona a creare una società più inclusiva che possa abbattere lo stigma.

 

MA QUALI LE CAUSE DI QUESTA MALATTIA?

Sono trascorsi più di cento anni dalla prima descrizione della malattia, definita per la prima volta nel 1906 dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer, ma ancora oggi non se ne conoscono chiaramente le cause. Attualmente la maggior parte degli scienziati ritiene non si tratti di un’unica causa, ma di una serie di fattori. Anche se il principale fattore di rischio è l’età, la malattia di Alzheimer non è l’inevitabile conseguenza dell’invecchiamento, ma una patologia vera e propria con caratteristiche cliniche specifiche che richiedono mirati interventi diagnostici, terapeutici e riabilitativi.

 

DIECI CONSIGLI PER PREVENIRE, PER QUANTO POSSIBILE

Per diminuire i fattori di rischio, la Alzheimer’s Association USA ha stilato un decalogo:

1. La testa innanzitutto. La salute inizia dal cervello, uno degli organi più vitali del corpo che ha bisogno di cure e attenzione.

2. Dal cervello al cuore. Ciò che è buono per il cuore è buono per il cervello. Fare qualcosa tutti i giorni per prevenire malattie cardiache, ipertensione, diabete e ictus, che possono aumentare il rischio di Alzheimer.

3. I numeri che contano. Tenere sotto controllo peso, pressione, colesterolo e glicemia.

4. Nutrire il cervello. Assumere meno grassi e più sostanze antiossidanti.

5. Far lavorare il corpo. L’attività fisica ossigena il sangue e aiuta le cellule nervose: camminare 30 minuti al giorno tiene attivi mente e corpo.

6. Stimolare la mente. Mantenere il cervello attivo e impegnato stimola la crescita delle cellule e delle connessioni nervose: leggere, scrivere, giocare, imparare cose nuove, fare le parole crociate.

7. Avere rapporti sociali. Occupare il tempo libero con attività che richiedono sforzo fisico e mentale: socializzare, conversare, fare volontariato, frequentare un club, ritornare sui banchi di scuola.

8. Attenzione ai colpi! Usare le cinture di sicurezza, stare attenti al rischio di cadute, indossare il casco quando si va in bicicletta.

9. Essere saggi. Evitare le cattive abitudini: non fumare, non bere troppo, non fare uso di droghe.

10. Guardare avanti. Iniziare oggi a preparare il domani.

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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