Una «schiacciata» per battere un linfoma Non Hodgkin
Lorenzo Bonetti è un pallavolista che nel 2012 è stato colpito dal tumore del sistema linfatico. La sua storia è ripercorsa nel libro «Sotto Rete», i cui proventi saranno devoluti alla Fondazione Veronesi
Non fosse un pallavolista, nato palleggiatore e poi evolutosi al ruolo di schiacciatore, Lorenzo Bonetti sarebbe stato capace di vincere la forza di gravità scalando le montagne. La sua vita è stata un’ascesa continua: prima come atleta e poi come uomo. Nato a Bergamo, Bonetti è cresciuto tra i vivai dell’Albinoleffe e dell’Atalanta col desiderio più comune tra gli adolescenti: diventare un calciatore. Poi, siccome le soddisfazioni tardavano ad arrivare, decise di seguire le orme materne e convergere quasi maggiorenne verso il volley. Ma l’arrampicata più ripida è stata quella vissuta sulla parete della vita, che quattro anni fa gli ha piazzato un tiro mancino mica da quattro soldi: la diagnosi di un linfoma Non Hodgkin nell’estate del 2012, alle spalle una buona stagione vissuta a Cantù. «Era il 13 agosto, ricordo la telefonata di Maurizio Buelli, ematologo dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo». L’analisi del midollo osseo aveva confermato i sospetti che circolavano da un mese, da quando Bonetti s’era sottoposto a una risonanza magnetica per un mal di schiena persistente. Diagnosi, terapie (chemio e radio), guarigione e ritorno in campo: tutto in meno di un anno. «Un’esperienza che mi ha insegnato che ognuno di noi può sconfiggere ogni male: basta non arrendersi mai».
La storia di Bonetti, oggi schiacciatore in A2 a Castellana Grotte, è un’iniezione di fiducia per tutte le persone che stanno combattendo contro un tumore e per chi è al loro fianco. Il pallavolista, sulla via della guarigione, ha scelto di raccontarla in un libro (scritto col giornalista Paolo Fontanesi) edito da Edizioni Npe: «Sotto Rete», il cui ricavato sarà in parte devoluto a Gold for Kids, il progetto con cui la Fondazione Umberto Veronesi sostiene la ricerca nel campo dell'oncologia pediatrica. Già senza la malattia, la carriera professionale di Bonetti avrebbe un che di unico: il passaggio tardivo da uno sport a un altro, un’ascesa rapida, rapidissima. Fino alla massima serie: scoperta a Vibo Valentia e maneggiata con più esperienza a Milano, a due passi dalla casa dove vive mamma Rosa (Gagni), pallavolista in serie A a Bergamo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. La stessa in cui Lorenzo ha cercato rifugio quando un ostacolo imprevisto s’è affacciato lungo la strada della sua vita. «Devo ridere o devo piangere?», mi chiedevo nei momenti di sofferenza. «Sorridi, mi dicevo, perché la vita è bella». Superate le prime esitazioni («Perché proprio a me?»), non c'è stato spazio per la rassegnazione. «Perché è il male di tutti i mali».
Il racconto scorre tutto d’un fiato: la paura iniziale, la voglia di divertirsi anche durante la malattia, quel pallone, «che per me era come una biro per uno scrittore», che iniziava a mancare come l’ossigeno. Il male, all’inizio ignoto e invisibile, per Bonetti diventa nel tempo il nemico da sconfiggere. Il ritorno sul parquet è l’iniezione di adrenalina che fa la differenza. Sei mesi dopo è di nuovo in campo, in un palazzetto (a Cisano Bergamasco) pieno di parenti e amici. A quel punto la malattia fa già parte del passato: nella testa, se non nel corpo. Di scacciarla via da lì si preoccuperanno i medici. La malattia cambia anche il ruolo di Bonetti: da palleggiatore a schiacciatore. «Il mio allenatore mi spinse a sperimentare e i risultati non sono poi stati insoddisfacenti». Altro che: la schiacciata più bella di Lorenzo è stata quella messa a terra contro il linfoma. Un punto che gli è valso un’(altra) vita.
Lorenzo Bonetti e Paolo Fontanesi
SOTTO RETE
Edizioni Npe, 156 pagine, 12 euro