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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 05-07-2023

Diagnosticare un tumore da un prelievo di sangue non è ancora possibile



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La biopsia liquida sta assumendo sempre più importanza nel monitoraggio delle cure. Ma a scopo di diagnosi precoce c'è ancora molto da migliorare

Diagnosticare un tumore da un prelievo di sangue non è ancora possibile

Con i tumori prima si arriva alla diagnosi e maggiori sono le probabilità di guarigione. Poterli scoprire grazie ad un prelievo di sangue di routine è il sogno di qualsiasi oncologo. Uno scenario ancora ben lontano dalla realtà. Esistono però numerosi studi che stanno indagando il ruolo della biopsia liquida -questo il nome tecnico dell'esame- nella diagnosi precoce dei tumori. Uno di essi, appena pubblicato sulle pagine di Lancet Oncology, ha mostrato l'utilità del test MCED nell'individuare l'effettiva presenza della malattia in persone che presentavano sintomi compatibili con la presenza di una neoplasia. Anche se la strada è ancora molto lunga, il miglioramento della sensibilità e della specificità del test potrebbe portare in futuro ad un più ampio utilizzo della biopsia liquida quale esame per la diagnosi precoce. Al momento però le tradizionali tecniche di diagnostica sono ancora le uniche strategie per avere la certezza della diagnosi.

IL RUOLO DELLA BIOPSIA LIQUIDA

Ad oggi nelle persone con sospetto di cancro la diagnosi di tumore viene effettuata grazie ad esami strumentali tradizionali come TAC e risonanza magnetica nucleare. Successivamente, individuata la massa, si procede ad una eventuale biopsia della lesione sospetta. Da qualche anno, accanto a queste metodiche tradizionali, si sta affermando sempre di più la tecnica della biopsia liquida, un esame finalizzato a ricercare il DNA tumorale circolante nel sangue periferico. Allo stato attuale questo metodo sta acquistando crescente importanza in alcuni contesti clinici ma non ancora ai fini di diagnosi della malattia. La biopsia liquida oggi è infatti utilizzata per monitorare l'evoluzione della malattia e per valutare se le terapie stanno o meno avendo effetto. A differenza di una biopsia tradizionale, dove il risultato è una "fotografia" parziale del tumore relativa solo alla sede dove è stato effettuato il prelievo del tessuto, con la biopsia liquida è possibile seguire l'evoluzione della malattia.

DAL MONITORAGGIO DELLA MALATTIA ALLA DIAGNOSI PRECOCE

Tecnicamente però, dal momento che la malattia rilascia alcuni frammenti di DNA nel sangue sin dal suo esordio, la biopsia liquida è da tempo sotto osservazione per fini diagnostici, ovvero per intercettare la presenza di un tumore permettendo di fare diagnosi precoce. Uno dei test maggiormente studiati a questo proposito è MCED (multi-cancer early detection), un metodo potenzialmente in grado di segnalare la presenza di un tumore -e della sua localizzazione- tra oltre 50 neoplasie differenti attraverso la ricerca di piccole sequenze di DNA tumorale circolante che differiscono dal DNA delle cellule sane per una particolare caratteristica molecolare nota come metilazione

I RISULTATI DELLO STUDIO

Per valutarne la bontà ai fini di diagnosi precoce sono in corso molti studi. Uno di questi, pubblicato su Lancet Oncology, ha valutato un gruppo di quasi 6 mila pazienti adulti con sintomi non specifici o con sintomi sospetti per tumori ginecologici, polmonari o del tratto gastrointestinale. Gli individui coinvolti nello studio, oltre ad effettuare procedure diagnostiche come da normale pratica clinica, sono stati sottoposti al test MCED allo scopo di confrontarne il risultato rispetto all'esito delle procedure diagnostiche standard. Dalle analisi è emersa una positività al test MCED, ovvero la potenziale presenza di DNA tumorale circolante, in 323 casi. Tra questi la conferma diagnostica attraverso i metodi tradizionali si è verificata in 244 pazienti, segno che il test in un paziente su 4 ha prodotto un falso positivo. Per contro, sul totale dei test negativi, circa il 2.4% dei casi è stato falsamente rassicurato in quanto la diagnostica tradizionale si è conclusa con una diagnosi di cancro. Andando a scorporare i dati è emerso inoltre che la sensibilità del test è risultata progressivamente crescente con l'età e con lo stadio di malattia: il test è risultato sensibile nel 24.2% dei casi in stadio I e nel 95.3% dei casi in stadio IV. Infine, nei pazienti con diagnosi di tumore nei quali il test ha prodotto un risultato positivo, il test si è rivelato accurato nel predire la sede di origine del tumore nell'85.2% dei casi.

L'UTILIZZO NELLA POPOLAZIONE GENERALE

I risultati ottenuti si aggiungono a quelli presentati lo scorso settembre durante il congresso dell'European Society for Medical Oncology. In quel caso lo studio PATHFINDER, che ha coinvolto oltre 6 mila persone di età superiore ai 50 anni apparentemente sane e senza pregressa diagnosi di tumore sottoponendoli al test MCED, ha rilevato la presenza di DNA tumorale in 92 persone. Tra queste, 35 effettivamente hanno ricevuto una successiva diagnosi di tumore. Un dato, come raccontato in questo nostro articolo dedicato allo studio, che indica quanta strada ancora ci sia da fare nell'utilizzo della biopsia liquida a scopo diagnostico.

ANCORA LONTANI DALLA DIAGNOSI PRECOCE

Allo stato attuale della conoscenza, dunque, utilizzare un semplice prelievo di sangue per fare diagnosi precoce è ancora ben lontano dalla realtà. «I dati dell'ultimo studio pubblicato -spiega il professor Massimo Di Maio, Segretario Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e Direttore Oncologia dell'Ospedale Mauriziano di Torino- sono promettenti ma lontani dal produrre evidenza sufficiente per un impiego di test del genere nella pratica clinica. Il motivo è presto spiegato: se il test fosse stato condotto in alternativa rispetto alla diagnostica tradizionale, circa un terzo dei pazienti che avevano un tumore sarebbero stati falsamente rassicurati da un test negativo e avrebbero avuto un ritardo diagnostico, se la negatività del test avesse fermato o rallentato l’esecuzione della diagnostica tradizionale. L’auspicio è che l’accuratezza e la sensibilità del test possano migliorare, perché questo significherebbe una concreta possibilità di impiego nella pratica clinica. Con l’accuratezza attuale, un test positivo significherebbe l’indicazione ad accelerare l’esecuzione della diagnostica tradizionale, ma un test negativo non autorizzerebbe a fermarsi, di fronte alla presenza di sintomi clinici che potrebbero essere realmente la spia di un tumore. Al momento, dunque, l’applicabilità di questi risultati è abbastanza lontana dalla routine clinica».

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista del Magazine di Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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