L'ansia (in 1 caso su 3) e la depressione (1 su 4) sono frequenti «compagne di viaggio» per chi ha la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa
C'è una malattia a carico dell'intestino. Ma non solo. Anche la mente può «tradire», quando si è chiamati a fare i conti con una malattia infiammatoria cronica intestinale: quali sono il Crohn e la rettocolite ulcerosa. La possibilità di curare queste condizioni ha migliorato la qualità di vita dei pazienti. Al contempo, però, convivere a lungo con una malattia cronica (per nessuna delle due esiste una possibilità di guarigione) può generare un contraccolpo psicologico non irrilevante. Ansia e depressione sono infatti frequenti «compagne di viaggio» per gli oltre duecentomila italiani alle prese con una delle due condizioni. E risultano ricorrenti soprattutto nelle fasi acute: più spesso in concomitanza con il Crohn e nelle donne.
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L'IMPATTO DI CROHN E RETTOCOLITE ULCEROSA SULLA MENTE
La malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa hanno un impatto non trascurabile sulla salute mentale. Quella che era un’ipotesi già emersa sulla base dell’esperienza clinica e di altri studi trova conferma in una metanalisi pubblicata sulla rivista The Lancet Gastroenterology & Hepatology. I clinici - tra cui gli italiani Brigida Barberio ed Edoardo Savarino, gastroenterologi dell’azienda ospedaliero-universitaria di Padova - hanno passato in rassegna le conclusioni di 77 studi clinici che avevano raccolto dati da oltre trentamila pazienti. Obbiettivo: valutare quanto di frequente chi è alle prese con una di queste due malattie conviva con un disturbo psicologico. I numeri sono significativi. In media, infatti, l’ansia accompagna un terzo di questi pazienti. Leggermente più bassi il tasso legato alla depressione (1 su 4). Osservando i dati provenienti dagli studi che avevano coinvolto sia persone con il Crohn sia con la colite ulcerosa, è emerso che il contraccolpo psicologico è più frequente in presenza della prima condizione. E, nel confronto tra i due sessi, a pagare il prezzo più alto sono soprattutto le donne.
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ANSIA E DEPRESSIONE PIÙ FREQUENTI SE LA MALATTIA È ATTIVA
Quanto osservato in questo lavoro conferma che intestino e cervello sono in realtà più vicini di quanto non appaiano osservando l'anatomia del corpo umano. Sia l’ansia sia la depressione risultano più frequenti nelle fasi di riacutizzazione della malattia - indipendentemente da quale essa sia - che possono verificarsi anche in concomitanza con i cambi di stagione. Nello specifico - è quanto si legge nel lavoro - questa differenza emerge soprattutto nel confronto tra i tassi di depressione rilevabili nelle persone affette dalla malattia di Crohn. «Con probabilità fino a cinque volte superiori di sviluppare i sintomi». Una fotografia di cui tenere conto e per certi versi inevitabile. La possibilità di convivere con una malattia infiammatoria intestinale ha anche un rovescio della medaglia. Quello rappresentato per l’appunto dall'impatto psicologico, che diventa più evidente in ogni momento in cui la malattia torna a far sentire la sua presenza. Con un seguito variabile - ma comunque mai trascurabile - sulla qualità di vita dei malati.
CURARE (ANCHE) LA MENTE PER CURARE LE MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI
Vista la concomitanza di ansia e depressione con la malattia di Crohn o la rettocolite ulcerosa, occuparsi anche delle ricadute psicologiche di queste condizioni è considerata una necessità. Al momento, ricordano gli esperti, «non esistono strumenti validati per la diagnosi di disturbi d'ansia e dell'umore nei pazienti affetti da una malattia infiammatoria cronica intestinale». Un aspetto che complica la loro presa in carico. E che rischia di avere un impatto sulla corretta stima della prevalenza di ansia e depressione. Da una parte potrebbero esserci malati portati a sovrastimare anche un fisiologico calo del tono dell'umore. Dall'altra potrebbero esserci dei malati inconsapevoli di esserlo. In ogni caso, «questi risultati forniscono prove più chiare circa la necessità di sottoporre a screening di routine per l'ansia e la depressione alcuni pazienti - si legge nelle conclusioni del lavoro -. Rilevare e trattare queste condizioni potrebbe portare a un maggiore controllo dei sintomi, a una migliore accettazione e al controllo della malattia infiammatoria intestinale (grazie anche a una più stringente aderenza alle terapie, ndr) da parte dei pazienti». Con ricadute anche sul piano sociale ed economico.
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).