Intervista ad Alessandra Abbisogno, la prima italiana nata «in provetta», grazie alla procreazione assistita. «Mi chiedevano: ma tu hai l'ombelico?»
Le hanno chiesto di tutto, nel corso dei suoi primi 35 anni di vita: «Ma tu ce l'hai l'ombelico, come tutti noi?». Oppure, con tono quasi più minaccioso: «Sei come tua madre o potrai avere dei figli?». Premesso che la riproduzione è stata possibile anche grazie a sua mamma, Alessandra Abbisogno ha avuto una duplice fortuna: quella di essere la prima italiana a nascere al termine di un percorso di procreazione medicalmente assistita (Pma) e di non essersi mai sentita una «marziana». Oggi ci ride su, quando ne parla. «Ma in effetti mi sono sentita affibbiare i giudizi più assurdi, soprattutto negli anni delle scuole medie e superiori: sia dai compagni sia da alcuni professori - racconta nel giorno in cui spegne 40 candeline Louise Brown, la prima persona al mondo nata attraverso il metodo della fertilizzazione in vitro -. Per fortuna ho avuto dei genitori che non mi hanno mai fatto sentire una bambina diversa, mentre il resto ho deciso di scoprirlo da me».
Fecondazione assistita: questa la strada maestra per avere un figlio
LA PRIMA VITA SBOCCIATA IN «PROVETTA»
La ricorrenza odierna è stata l'occasione per Alessandra per rispolverare la sua storia: quella di prima italiana nata «in provetta», così titolarono i giornali all'indomani del parto avvenuto l'11 gennaio del 1983 allorché vide la luce nella clinica Villalba di Agnano (Napoli) sotto l'egida di Vincenzo Abate, ancora oggi ricordato per essere stato il primo connazionale a far nascere una bambina al termine di un percorso di fecondazione assistita. Questa bella ragazza di 35 anni è una biologa nutrizionista, oltre che un'insegnante di matematica e scienze. Ma per anni si è cimentata con l'embriologia. «Una scelta fortemente voluta, perché ho voluto andare alle radici della mia vita. Mi sarebbe piaciuto poter aiutare altre donne a seguire la strada percorsa da mia mamma, che rischiava di non poter avere figli per l'ostruzione delle tube. Vedere quei bambini, che altrimenti non sarebbero mai nati, è una soddisfazione enorme anche per chi lavora al raggiungimento di un simile risultato. Ma a un certo punto del percorso, ho deciso di cambiare strada». Dalle sue parole, traspare un pizzico di delusione. «Avere un figlio è una gioia indescrivibile ed è giusto mettere tutte le donne nella condizione di provarla. Ogni esperienza, però, va fatta al momento giusto. Oggi, invece, c'è chi forza troppo la mano: sia tra le donne sia tra gli specialisti. La procreazione medicalmente assistita non è una bacchetta magica. E avere un figlio a cinquant'anni ritengo che non sia corretto nei confronti di una vita che nasce».
Con la fecondazione eterologa nasce un nuovo concetto di famiglia
RISPETTARE L'OROLOGIO BIOLOGICO
Alessandra è una donna di scienza, ma è anche accompagnata da una fede solida. Per questo si dichiara contraria all'aborto («non riesco ad andare contro la natura: un figlio è una benedizione») e considera il percorso della Pma «una grande opportunità, a patto però che non se ne abusi». La linea di pensiero è chiara: «È eccezionale sapere che oggi una donna, dopo aver avuto un cancro, può avere un figlio. Questo è un capolavoro della scienza, che deve sempre essere al servizio della vita e non dei nostri calcoli». Prevedibile, di conseguenza, la contrapposizione al fenomeno del «social freezing», che dà la possibilità a donne sane a optare per una gravidanza in età più avanzata, dopo aver congelato i propri ovociti diversi anni prima. Un'opportunità su cui molti esperti invitano alla prudenza, perché l’esito non è affatto scontato. «Capisco le difficoltà nell'inserimento nel mondo lavorativo e nella stabilizzazione lontano dai genitori, ma l'orologio biologico va avanti», prosegue Alessandra, che ha posto il desiderio di costruire una nuova famiglia prima di qualsiasi ambizione professionale. «Molte ragazze da giovani non sanno cosa vogliono davvero. Così, quando iniziano a dare il giusto valore agli affetti e alla famiglia, si scopre che l'età biologica è avanzata».
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L'URGENZA DI INFORMARSI NEL PAESE CHE FA SEMPRE MENO FIGLI
Alessandra parla dal salotto della sua casa, a Bologna. A «scortarla» ci sono i due figli: Andrea di 5 anni («è un bimbo intelligentissimo, ma ogne scarrafone è bell'a mamma soja») e Giada di 2 («è un vulcano, quanta fatica per starle dietro»). Non c'è nemmeno il tempo di fare la domanda più attesa. «Entrambi sono nati senza l'aiuto della procreazione assistita. A trent'anni, visto quanto accaduto a mia mamma, ho voluto subito verificare la possibilità di rimanere incinta: ci sono riuscita senza problemi, ma non avrei esitato in più a sottopormi a una procedura di fecondazione assistita. A dirla tutta, mi sarebbe piaciuto avere due gemelli». Oggi che non fa più l'embriologa, Alessandra non si nega l'impegno per una maggiore consapevolezza della popolazione in materia di procreazione medicalmente assistita. «Le opportunità sono tante, ma vedo ancora tanta gente poco o male informata». Di persone che le chiedano se abbia o meno l'ombelico, non ne incrocia da un po'. «Ma oggi mi fa più paura la deriva opposta, quella che porta molte donne a pensare che un figlio possa arrivare in qualsiasi momento. Non è così: lo dico da embriologa, prima che da donna nata grazie alla procreazione assistita. La medicina non può essere uno strumento per porre rimedio alle nostre errate valutazioni».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).