In Italia ogni anno 400 decessi per annegamento. Soltanto la metà dei bambini sa nuotare. Le indicazioni in vista delle vacanze
Estate, tempo (per molti) di vacanze al mare. Memorabili e attese da tutti, le ferie possono però trasformarsi in un’insidia per la salute. Il riferimento è ai casi di annegamento che, sebbene in Italia siano in calo, sono all’incirca quattrocento ogni anno e, come ricorda l’Istituto Superiore di Sanità, rappresentano l’ottava causa di morte nei giovani con meno di vent’anni. Fino al 1970 erano almeno 1.200 le persone che perdevano la vita a largo di una spiaggia, in piscina, in un fiume o in lago. Oggi i decessi nel nostro Paese si sono ridotti di due terzi, ma sono ancora troppi, se si considera che si disquisisce di una condizione prevenibile nella quasi totalità dei casi.
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PIU’ RISCHI DA FIUMI E LAGHI
Il dato dimostra comunque come in alcune aree del territorio una serie di misure preventive si siano rivelate efficaci: dalla maggiore consapevolezza dei rischi, allo sviluppo delle capacità di nuotare, dall’educazione nelle scuole alla sorveglianza nelle spiagge. Ma di strada da fare ce n’è ancora abbastanza, se l’Organizzazione Mondiale della Sanità s’è rivolta a tutti gli Stati membri chiedendo di privilegiare la prevenzione degli annegamenti all’interno di politiche sanitarie nazionali. «Per i bambini dovrebbe essere avviata una campagna a livello nazionale per una loro maggiore sorveglianza da parte dei genitori o dei tutori e per dotare le piscine private di dispositivi che impediscano il loro accesso senza il controllo degli adulti - affermano Enzo Funari e Marco Giustini, epidemiologi del dipartimento ambiente e connessa prevenzione primaria dell’Istituto Superiore di Sanità -. Mentre in tutti i punti di accesso agli arenili dovrebbero essere fornite informazioni esaurienti con un’apposita cartellonistica circa la presenza della sorveglianza e di un’organizzazione territoriale del soccorso e sugli eventuali pericoli intrinseci delle spiagge». Sono fiumi e laghi, meno frequentati e dove l’eventuale soccorso è più spesso problematico, gli ambienti potenzialmente a rischio elevato. Prova ne è il dato che vede la Lombardia, tra il 2003 e il 2012, come la regione in cui si sono registrati più annegamenti (432): davanti al Veneto (344), all’Emilia Romagna (201) e al Piemonte (196).
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PRIMO PASSO: INSEGNARE AI BAMBINI A NUOTARE
Fa quasi rabbia ammetterlo, ma la realtà dei fatti è chiara: se tutti i bambini italiani sapessero nuotare, i numeri degli annegamenti sarebbero decisamente più bassi. Invece soltanto uno su due non teme l’acqua alta e riesce a mantenersi a galla. Qualcosa che Giuseppe Mele, pediatra di famiglia e presidente della Società Italiana Medici Pediatri (Simpe), bolla come «inaccettabile», in un Paese che conta 7.500 chilometri di coste. «Tutti i bambini devono imparare a nuotare, il prima possibile - afferma lo specialista salentino -. Il nuoto è un'attività che può essere praticata fin dalla prima infanzia: sì ai corsi di acquaticità assieme alla mamma fin dai primi mesi e a quelli in vasca con l'istruttore per i più grandi, per essere in grado di galleggiare e nuotare prima di andare alla scuola materna. Solo così i bambini saranno in grado di fare un bagno in mare, al lago o in piscina con maggior tranquillità».
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FRA I RISCHI ANCHE L’ALCOL
Sempre in termini di prevenzione, come ricordato nelle ultime raccomandazioni americane pubblicate sulla rivista Wilderness & Environmental Medicine, occorre ricordare che le persone affette da sindrome del QT lungo, malattia coronarica o disturbi convulsivi corrono un rischio di annegamento più elevato rispetto al resto della popolazione. Nel documento si fa riferimento alla necessità di indossare il giubbotto di salvataggio durante gli sport acquatici, mentre prima si sconsiglia il consumo di bevande alcoliche. Questo aspetto è uno dei determinanti dei maggiori tassi di annegamento che si registrano tra gli uomini, più esposti al pericolo sia in età pediatrica (5-14 anni) sia da giovani adulti (15-34 anni), quando il rapporto (rispetto alle donne) arriva anche a essere di otto a uno.
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COME SOCCORRERE UNA PERSONA IN DIFFICOLTA’?
Come riportato sul New England Journal of Medicine, «il processo di annegamento inizia con l’insufficienza respiratoria, quando le vie aeree della persona si trovano sotto la superficie del liquido o quando l’acqua investe il volto con spruzzi». A determinare il soffocamento è l’ingresso di acqua nelle vie aeree e nei polmoni. Come comportarsi se ci si trova di fronte a una persona in difficoltà? «Per prima cosa occorre condurre la persona, adulta o piccola che sia, a riva - afferma Riccardo Lubrano, direttore del reparto di nefrologia pediatrica del policlinico Umberto I di Roma e presidente della Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica -. Spogliarla non è necessario, a meno che i capi indossati non ostacolino la galleggiabilità. Occorre posizionare il paziente in orizzontale, sdraiato in posizione supina (con la pancia verso l’alto), e verificare il suo stato di coscienza. Se non respira, va intrapresa subito la respirazione bocca a bocca. Dopodiché occorre sentire il polso: se manca, bisogna avviare subito il massaggio cardiaco (120 compressioni al minuto, ndr), fino all’arrivo del defibrillatore. La rianimazione cardiopolmonare, consistente in cicli di trenta compressioni alternate a due ventilazioni, deve proseguire fino all’arrivo del 118». Il soccorso è più complicato quando si ha a che fare con un bambino, meno collaborativo e portato ad agitarsi in acqua. Come agire in questi casi? «Occorre estrarlo quanto prima dall’acqua - chiosa Lubrano - e liberare le vie aeree da eventuale vomito o materiale estraneo che potrebbero causare ostruzione o aspirazione. Coprire il bambino è fondamentale, per combattere il raffreddamento del corpo. Se il bambino è cosciente, va tranquillizzato e messo in posizione seduta o laterale per facilitare la respirazione».
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).